A prima vista si direbbe che abbiano in comune soltanto una certa rigidità nella difesa di valori, apparsi nel corso del tempo, parecchio lontani e per alcuni tratti opposti: l’una ha difeso il pluralismo sino al limite dell’intransigenza; l’altro lotta corpo a corpo contro il liberismo, quantomeno per mostrare forza.

Eppure ieri a Mosca il presidente russo, Vladimir Putin, ha accolto al Cremlino la cancelliera tedesca, Angela Merkel, come si fa con gli alleati migliori, anzi, con gli amici.

Parlando dell’Afghanistan il capo del Cremlino ha ribadito una parte della sua dottrina: «Non si può imporre il proprio stile di vita su altri popoli. D’ora in poi lo standard sarà il rispetto delle differenze, perché non si può esportare la democrazia. Ora la priorità è evitare il collasso dello stato afghano».

IN LINEA DI PRINCIPIO Merkel avrebbe potuto obiettare, ma si è limitata a chiedere che la Russia «eserciti tutta l’influenza possibile nel dialogo con i Talebani». Nulla è casuale. Anche perché nelle stesse ore il ministro degli Esteri tedesco, Heiko Mass, prendeva parte al vertice straordinario dei paesi della Nato: che Merkel si sia rivolta a Putin, anziché ai partner dell’Alleanza atlantica, è niente affatto secondario.

I due condividono la scena da sedici anni: trenta i vertici bilaterali, molti gli scontri, il più duro probabilmente nel 2014, quando Merkel disse di Putin che aveva «perduto il contatto con la realtà» nei colloqui sull’Ucraina.

Molti, però, anche i punti di contatto, sulla base di una cesura tra politica e affari che i diplomatici tedeschi sono riusciti a rendere scienza nei momenti di maggiore crisi in tema di diritti. Non deve quindi sorprendere che le distanze oggi sembrino quasi inesistenti.

PER LA CANCELLIERA si tratta dell’ultima visita al Cremlino, almeno in veste ufficiale, come notano a Mosca alcuni quotidiani, supponendo così che la collaborazione con Angela Merkel possa anche proseguire una volta che la Germania avrà scelto un nuovo capo di governo dopo le elezioni teedesche previste per fine settembre. La politica tedesca ha fornito in effetti un contributo importante all’industria russa in termini di leadership.

IL CASO EMBLEMATICO è quello di Gerard Schroeder, passato in pochi anni dalla cancelleria a Berlino al board di Gazprom e poi alla guida del consorzio Nord Stream, che chiuderà proprio nei prossimi giorni i lavori al nuovo braccio di un gasdotto attraverso il Baltico.

Su quest’opera Merkel ha usato tutto il suo peso politico negli ultimi mesi, in particolare nelle trattative con l’amministrazione americana che hanno messo al riparo il progetto dal rischio concreto di sanzioni.

«L’Europa – ha detto il presidente Putin – non ha una fonte di energia più affidabile del gas russo». Poi il saluto alla sua ospite, Merkel: «Grazie per questi anni di lavoro. Saremo sempre felici di vederla in ancora qui».

Sul lavoro, però, nonostante i fiori, i toni pacati e l’atmosfera di sincera cordialità che si percepiva ieri nelle stanze del Cremlino, gli osservatori russi mantengono riserve. «Le aspettative in questi anni sono state tante e i risultati pochi», ha scritto alla vigilia dell’incontro Galina Dubyna del quotidiano Kommersant: «Merkel lascia le relazioni fra i nostri paesi in uno stato non certo invidiabile».

Su un punto la cancelliera ha insistito, ed è la condizione dell’oppositore politico del leader del Cremlino, Alexei Navalny, la cui vicenda giudiziaria è al centro di aspre critiche nei confronti del Cremlino e che ha spinto ieri gli Stati uniti e la Gran Bretagna a una ulteriore serie di sanzioni dopo quelle approvate nei mesi scorsi, contro nove funzionari russi e due istituti di ricerca.

«HO DOMANDATO che si arrivi alla liberazione», le parole usate da AngelaMerkel al termine dell’incontro. «Navalny non è in cella per ragioni politiche», la risposta di Vladimir Putin. Proprio ieri l’attivista, che sconta la pena in carcere nella città russa di Vladimir, ha invitato i leader europei a promuovere misure anti corruzione con una lettera aperta pubblicata dal quotidiano britannico The Guardian.