Marco Aime prima di essere un autorevole antropologo culturale e specialista di dinamiche di turismo responsabile è un amante della montagna in tutti i suoi aspetti. Vive a Torino, metropoli alpina circondata da 400 chilometri di montagne, e lavora all’Università di Genova, città di montanari con i piedi nell’acqua. Gli abbiamo chiesto di riflettere con noi sull’attuale dibattito che vede la montagna estiva come una delle possibili mete delle vacanze degli italiani. Tra incertezze, paure e la speranza che le terre alte possano ricordarci il perduto senso del limite.

Che impatto ha avuto l’emergenza Covid-19 sulla montagna?

Ha avuto un impatto piuttosto pesante su alcune zone montane. Quando sono state chiuse le scuole molte famiglie sono andate a sciare in montagna. Alcuni amici alto atesini mi hanno raccontato di come dalla Lombardia molte persone si siano precipitate in Alto Adige, in Val Gardena o Val di Fassa. Il risultato è stato che ancora oggi il contagio nelle valli dolomitiche è più alto di quello delle città di Trento e Bolzano. Sono valli a forte vocazione turistica e per l’estate si rischia che alberghi, rifugi e ristoranti possano aprire solo parzialmente e con numeri limitati. L’indotto rischia di risentirne parecchio.

Cosa deve aspettarsi la montagna per la stagione estiva?

Il turismo delle grosse concentrazioni, delle masse, è sicuramente quello che quest’estate risentirà di più, e la montagna verrà preferita al mare. Ci sono almeno due motivi che spingeranno i turisti a preferirla: il primo è un’immagine di purezza, salute, incontaminazione, che farà sì che molte persone decideranno di salire in quota. La seconda è che la montagna offre ampi spazi, con la possibilità di evitare concentrazioni in luoghi ristretti: si può camminare sui sentieri, ognuno con il proprio passo, e svolgere molte altre attività outdoor riuscendo a mantenere le distanze di sicurezza. L’emergenza del Covid-19 potrebbe premiare un certo tipo di turismo montano soft. Bisogna poi vedere come riusciranno ad organizzarsi rifugi e realtà ricettive.

L’emergenza sanitaria ha messo a nudo la fragilità dei modelli turistici?

Se escludiamo alcune località come Venezia, che può permettersi di vivere quasi esclusivamente di turismo per via della sua rendita di posizione unica al mondo, negli altri casi il turismo dovrebbe essere pensato come un’attività complementare e stagionale. E questo perché è legato a troppi fattori variabili: il clima che può influire negativamente sulla caduta della neve; le mode, per cui una certa località in un determinato periodo risulta molto frequentata, ma quando esce dall’immaginario turistico improvvisamente diventa secondaria, a favore di qualche altra località che diventa in voga. Il turismo è un’attività aleatoria. Soprattutto in montagna dovrebbe sempre essere affiancato ad altre attività più stabili e sicure. L’emergenza Covid-19 ha messo in luce la fragilità del sistema globale, e l’indotto turistico è stato il primo ad essere colpito. Se vigliamo vedere un lato positivo è che quest’estate molti più italiani rimarranno a fare le vacanze nel Paese.

Dunque la salvezza potrebbe arrivare dal turismo di prossimità?

Quest’anno saranno poche le persone che andranno a fare le vacanze all’estero e gli stranieri non verranno in Italia. Per questo motivo ci sarà la rivalutazione di un turismo casalingo, di prossimità, che prima veniva un po’ snobbato e trascurato a vantaggio di altre mete lontane, ma che oggi, gioco forza, ce lo si fa piacere. E magari poi scopriremo persino che non è così male. Non parlo del “modello Sestriere”, pratica turistica in gran parte superata, che fa parte della visione degli anni ’60, in un’epoca in cui tutti volevano avere l’auto e uniformarsi al turismo di massa. Oggi il turismo montano in ascesa è un altro. Col passare del tempo è nata una sensibilità diversa, la ricerca di ambienti più incontaminati, di cibo tradizionale, la ricerca di un turismo di qualità che abbia un qualche legame con il territorio e non riproponga il condominio urbano in quota, con lo stesso modello di vita della città. Oggi, in questa situazione mutata, queste forme di turismo più artigianali potrebbero ritrovare un valore.

Come evitare gli affollamenti nei weekend estivi?

In montagna ci sono alcuni luoghi ultra sfruttati, belli e facilmente accessibili, dove si arriva in automobile o con camminate brevi, e dove nei weekend estivi si rischia di trovare le folle di turisti, cosa che quest’anno sarà sicuramente da evitare. Per questi luoghi bisogna prevedere qualche forma di limitazione, un numero chiuso. Sono delle soluzioni sgradevoli, ma è l’unico modo per evitare di ricadere nuovamente in una situazione sanitaria emergenziale.

Come dovranno comportarsi i turisti?

Oggi la responsabilità del turista non deve essere solo più nei confronti dell’ambiente, ma deve diventare anche di tipo medico e sanitario. Dobbiamo farci carico dell’altro. Possiamo andare a camminare in montagna, ma dobbiamo tutti mantenere la distanza di sicurezza da chi incontriamo sui sentieri e da chi in montagna vive. Non possiamo muoverci in gruppi troppo grossi e dobbiamo limitare gli assembramenti. Almeno fino a quando il virus non sarà debellato. Allo stesso tempo da parte di chi accoglie ci vorranno misure di organizzazione che facciano in modo che i turisti non siano costretti a stare troppo ammassati.

Cosa possiamo imparare da questa emergenza?

La situazione in cui ci ha gettato il Covid-19 fa riflettere sulle troppe cose che davamo per scontate e che scontate non sono. L’idea che tutto sia disponibile, che si possa andare dove si vuole e quando si vuole, in realtà non vale più. Ad esempio avere una seconda casa di proprietà in montagna non significa che ci si possa andare quando si vuole. Perché la sicurezza collettiva è più importante delle esigenze del singolo. Prima viene la tutela di chi vive la montagna e poi il diritto di chi deve andarci per piacere e divertimento. Ci sono delle priorità.