«Cara Giorgia, sono una donna e sono una medica…». Inizia così una delle lettere alla presidente del consiglio lette ieri in piazza Santi Apostoli, a Roma. Alcune centinaia di medici si sono date appuntamento per protestare contro manovra e governo, ma soprattutto contro 20 anni di smantellamento della sanità pubblica. Nella mobilitazione intersindacale nove sigle, ognuna con i suoi colori e le sue bandiere. Qualcuna rossa di Fp Cgil e celeste della Uil Flp. Di più quelle dei sindacati autonomi di categoria: Anaao-Assomed, Cimo-Fesmed, Aaroi-Emac, Fassid, Federazione Veterinari Medici (Fvm) e il Coordinamento nazionale delle aree contrattuali medica, veterinaria e sanitaria. Presente anche la Federazione degli ordini dei medici (Fnomceo), un albo professionale. Dall’intersindacale si è sfilata solo la Cisl, mentre mancano del tutto i medici di base: più numerosi ma inquadrati come liberi professionisti. Sintomo della persistente divisione tra ospedalieri e territoriali.

«SONO MEDICA del pronto soccorso da 15 anni e lo declino orgogliosamente al femminile», continua la lettera, che è di Caterina Pandolfi. La dottoressa racconta di sentirsi umiliata e intimorita dalle minacce e violenze che avvengono quotidianamente nei corridoi degli ospedali italiani, spesso perché di malfunzionamenti e carenze strutturali i pazienti presentano il conto ai camici bianchi. «Siamo ridotti ad anelli di una catena di montaggio che pensa solo alla quantità di erogazioni e non all’umanizzazione delle prestazioni verso le persone bisognose di cura», continua.

L’AFFRESCO del Sistema sanitario nazionale (Ssn) che viene fuori dal coro di interventi è una sorta di inferno dantesco in cui a ogni girone corrispondono mancanze e sofferenze. Tra tutti spiccano i pronto soccorso – definiti suggestivamente «unici porti aperti a chiunque senza distinzioni di razza, genere e condizione sociale» – su cui a cascata ricade tutto ciò che non funziona nei livelli superiori. Provocando ore di attesa per essere visitati e poi giorni in corridoio prima di trovare un letto. «Sono stati tagliati quasi 40mila posti», denuncia Guido Quici, presidente di Cimo-Fesmed, che se la prende con le regioni «buco nero che divora risorse».

I NUMERI si riferiscono ai tagli che tra il 2011-2020 hanno cancellato anche 111 ospedali e 113 pronto soccorso. Tagli realizzati dai governi di ogni colore ma a cui l’esecutivo da poco insediato ha già mostrato di volersi accodare. La piazza punta il dito contro la manovra. «Il contratto è scaduto. Ci sono cinque milioni di ferie non pagate e dieci milioni di ore di straordinari non retribuiti. Con il Covid-19 abbiamo regalato alle aziende il tempo di vita. Ogni giorno sette medici lasciano il Sistema sanitario nazionale (Ssn). Per fermare l’emorragia servono investimenti. Ma in questa finanzaria non se ne vedono», accusa Pierino Di Silviero, segretario Anaao-Assomed.

ALTRO MOTIVO di dissenso con il governo è la flat tax che finirà per favorire i «mercenari che girano il paese a gettone», visto che riguarda solo i liberi professionisti e non i lavoratori dipendenti. I «mercenari» sono i medici che le Asl prendono in «affitto» dalle cooperative pagando prezzi molto più elevati rispetto ai sanitari assunti per concorso. Si arriva fino a 150 euro l’ora. Il ricorso a queste figure è sempre più diffuso perché nei pronto soccorso, secondo la stima della Società italiana di medicina di emergenza e urgenza (Simeu), mancano 5mila medici. A quei colleghi ha lanciato un monito il presidente dell’associazione degli anestesisti Alessandro Vergallo: chi oggi si mette in tasca stipendi pari a quattro volte quelli dei medici assunti nel pubblico si troverà presto coinvolto nella corsa al ribasso degli stipendi e dovrà contrattare condizioni peggiori di quelle da cui è fuggito.

PER I RAPPRESENTANTI intersindacali l’unica soluzione è investire nel Ssn facendo in modo che le condizioni di lavoro tornino ad attrarre i giovani medici, invece di respingerli verso il privato. Servono più politiche pubbliche e meno mercato. Anche perché entro il 2030 quasi 50mila camici bianchi andranno in pensione. Sono circa la metà del totale e il rischio è il blocco della sanità pubblica. «Serve un’alleanza con la cittadinanza», insistono dal palco promettendo stato di agitazione e scioperi se il governo rifiuterà di aprire dei tavoli con le organizzazioni sindacali. Più tardi il ministro della Salute Orazio Schillaci fa sapere che l’incontro ci sarà, oggi alle 16.