Non aveva altra scelta. Per bucare il muro del silenzio sul suo grottesco caso giudiziario Maysoon Majidi ha iniziato ieri uno sciopero della fame. È rinchiusa nel carcere Rosetta Sisca di Castrovillari da sei mesi. Una protesta eclatante quanto disperata. Sia per professare la propria innocenza rispetto alle tesi accusatorie dei pm di Crotone, sia per chiedere che venga fissata con urgenza l’udienza al tribunale del Riesame di Catanzaro per l’appello contro il rigetto della richiesta dei domiciliari.

Attrice e regista curdo-iraniana di 28 anni, attivista per i diritti delle donne in Iran, Majidi è fuggita dal suo paese perché perseguitata dagli ayatollah. L’attivista, dopo esser passata da un campo profughi in Iraq, era scappata in Turchia temendo di essere estradata in Iran. Imbarcatasi a Izmir, ha viaggiato per cinque giorni in balia delle onde e dei flutti, finché il battello si è incagliato nelle secche tra Gabella e Marina di Strongoli in Calabria. La notte dello sbarco, appena messo piede sulla costa jonica, ha urlato alla guardia costiera: «Sono una rifugiata politica». Dopo il porto di Crotone, però, è arrivato il carcere. Dove è stata tradotta per favoreggiamento all’immigrazione clandestina.

La donna ha sempre respinto le accuse mosse sulla base delle testimonianze di due dei 77 migranti. Nelle carte dell’inchiesta viene definita «aiutante del capitano». È accusata di aver distribuito acqua, il poco cibo a disposizione e di aver provato a mantenere la calma dove possibile. Di sicuro c’è che Majidi non ha guidato materialmente l’imbarcazione, condotta da un cittadino turco. Si tratta di elementi accusatori deboli su cui sono subito emersi molti dubbi. Gli stessi testimoni, un iraniano e un iracheno, hanno negato di aver accusato la donna, sostenendo che la traduzione delle loro parole sia stata distorta.

L’incidente probatorio che avrebbe potuto chiarire la vicenda, calendarizzato nell’udienza del 14 maggio, si è concluso con un nulla di fatto perché i testimoni sono stati dichiarati irreperibili dal tribunale di Crotone. Testimoni che, invece, sono stati rintracciati facilmente, in Germania e Inghilterra, dal programma tv Le Iene. In un duplice videomessaggio i due naufraghi hanno ribadito di non aver mai accusato Majidi. Al contrario la definiscono «un passeggero come gli altri che non c’entrava nulla con il capitano». Ai fini processuali però quelle dichiarazioni non sono per ora utilizzabili dalla difesa, in quanto non è possibile recepire testimonianze dall’estero.

Per il governo iraniano è una minaccia. Per la procura di Crotone, invece, una presunta scafista a cui sono stati negati i domiciliari a causa del pericolo di fuga, anche perché la donna non ha né un domicilio né parenti in Italia. Il peggior incubo nella mente della 28enne iraniana resta il rimpatrio. Il procedimento penale, oltre a costarle il carcere, potrebbe infatti compromettere l’ottenimento della protezione interazionale. «Tornare in Iran le costerebbe la vita», dicono i suoi legali.

Parafrasando il celebre film, si potrebbe dire che Kafka non solo è a Teheran. Ma anche in Calabria.