Mikhail Maslennikov foto dalla pagina Facebook di Oxfam Italia
Mikhail Maslennikov foto dalla pagina Facebook di Oxfam Italia

Mikhail Maslennikov, policy advisor e autore dell’analisi sulle diseguaglianze in Italia contenuta nel rapporto di Oxfam, 40 miliardari italiani posseggono l’equivalente della ricchezza netta del 30% dei più poveri. Che cosa ha fatto il governo Draghi per invertire questa tendenza?
Il governo Draghi è supportato da una maggioranza politica estremamente eterogenea. Avanzamenti robusti sul fronte della promozione di misure di giustizia sociale sono in questo scenario molto difficili. Il giudizio complessivo su alcune misure di recente approvazione è in forte chiaro-scuro. Al netto di alcune criticità è, ad esempio, positivo l’intervento, ispirato all’universalismo selettivo, di supporto alle famiglie con figli, l’assegno unico. Sulla riforma fiscale invece le scelte dell’esecutivo, vincolate alle pulsioni divergenti dei partiti della maggioranza sono fortemente discutibili.

La rimodulazione dell’Iperf è stata contestata da Cgil e Uil con uno sciopero generale perché premia i redditi medio-alti. Cosa non funziona in questa impostazione?
Di recente si è discusso molto dei maggiori risparmi d’imposta per i redditi medio-alti derivanti dalla revisione dell’Irpef nella legge di bilancio, ma questa impostazione era stata definita già a giugno scorso, anche in logica «compensativa», visti gli interventi pregressi che avevano beneficiato i redditi inferiori ai 30 mila euro. Semmai andrebbe sottolineato quanto l’intervento sull’Irpef non abbia portato benefici al 20% dei percettori di redditi bassi, fascia della popolazione in cui si concentrano i working poor. Ci sono poi problemi a monte più sostanziosi…

Quali?
La riforma fiscale si è disinteressata a un riordino complessivo dei carichi impositivi e ha sacrificato completamente l’obiettivo dell’equità orizzontale. Puntando al completamento di un sistema duale con i redditi da lavoro assoggettati a uno schema di tassazione progressiva e quelli da capitale tassati in modo flat, i contribuenti in condizioni simili o uguali continueranno a subire trattamenti fiscali differenziati. Aggiungiamo anche, tra le criticità, le bieche prospettive di una riforma del catasto che possa eliminare le note sperequazioni tra rendite catastali e valori di mercato degli immobili, la strenua difesa di una parte della maggioranza dell’iper-generoso regime forfettario per gli autonomi, il tabù della revisione dell’imposta di successione.

Anche i dati nel vostro rapporto dimostrano che la ripresa dell’occupazione dopo i lockdown del 2020 non è trainata dal lavoro stabile, ma dal precariato e aumenta il lavoro povero. Cosa servirebbe per invertire la tendenza?
Serve prendere atto che le disuguaglianze sul mercato del lavoro hanno cause profonde. Bisogna chiudere una volta per tutte la stagione della deregulation contrattuale e il ricorso a contratti atipici lesivi della dignità di chi lavora. A beneficiarne sono le imprese che nel contesto italiano seguono da anni strategie competitive basate sulla compressione dei costi del lavoro. I fondi del Pnrr dovrebbero essere condizionati all’aumento dell’occupazione di qualità. Servono politiche industriali serie che invertano il processo di deindustrializzazione che ha visto crescere negli ultimi decenni settori a basso valore aggiunto e bassi salari.

Nella pandemia oltre 1 milione di persone sono sprofondati nella povertà. Cosa ne pensa degli interventi sul cosiddetto «reddito di cittadinanza» varati dal governo?
Il giudizio è negativo. Se un istituto del genere prevede un comitato di valutazione che ha presentato raccomandazioni oculate per riformarlo il governo avrebbe dovuto come minimo discuterle. In compenso ha peggiorato la misura esistente imponendo il décalage dell’assegno dopo sei mesi, ha continuato a escludere gli stranieri extraeuropei non di lungo soggiorno e a penalizzare negli importi le famiglie numerose e con minorenni. E in più si rischia di trasformare il «reddito» in una trappola della povertà: se un beneficiario inizia a lavorare per ogni euro che guadagna perde 80 centesimi di sussidio. Problema enfatizzato pubblicamente dallo stesso Draghi ma su cui si è scelto di non intervenire.

È stata varata anche una riforma degli ammortizzatori sociali. È adeguata?
Il ministro del lavoro Orlando ha avuto poche risorse: servivano 10 miliardi per le misure proposte dalla Commissione Catalfo, ne ha ottenuti un terzo. La platea dei beneficiari delle integrazioni salariali è decisamente cresciuta e la vocazione universalistica del riordino degli ammortizzatori è benvenuto. Poteva essere un intervento più generoso. La coperta resta comunque corta per i lavoratori autonomi, oggi poco tutelati. Sarebbe inoltre preferibile ridurre, in modo selettivo, i requisiti contributivi per gli ammortizzatori in mancanza di rapporto, soprattutto per i lavoratori più giovani con carriere professionali frammentate.