Secondo i primi risultati definitivi circa 18 milioni di elettori marocchini hanno deciso di voltare alle elezioni legislative e locali di mercoledì, con in ballo la nomina di 395 parlamentari e di oltre 600 consiglieri regionali.

IL “PARTITO DELLA LAMPADA”, come è soprannominata la formazione islamista moderata del Partito per la giustizia e lo sviluppo (Pjd), alla guida del governo marocchino da un decennio, ha subito una sonora sconfitta passando dai 125 deputati ottenuti nelle passate elezioni del 2016 a soli 12 parlamentari.

Una sconfitta che, secondo i dati resi noti dal ministero dell’Interno, ha favorito i due partiti liberali vicini al palazzo reale: in testa il Raggruppamento nazionale indipendente (Rni), guidato dall’attuale ministro dell’Agricoltura, Aziz Akhannouche – considerato molto vicino al re Mohammed VI e possibile futuro premier – con 97 seggi, seguito dal il Partito dell’autenticità e della modernità (Pam) – guidato dal consigliere reale Fouad Ali El Himma – con 82 deputati. Terzo il Partito Istiqlal (centrodestra) che avrà 78 seggi alla Camera dei rappresentanti.

L’entità della sconfitta degli islamisti moderati è inaspettata in quanto, nonostante l’assenza di sondaggi, i media e gli analisti ritenevano che il Pjd avrebbe comunque ottenuto una riconferma per la creazione di un nuovo governo per il terzo mandato consecutivo.

UNA DÉBÂCLE MAL DIGERITA dagli apparati del Pjd a tal punto che l’ex capo del governo ed ex segretario generale del Pjd, Abdelilah Benkirane, ha affermato di aver riscontrato «gravi irregolarità», tra cui «l’oscena distribuzione di denaro vicino ai seggi elettorali» e «confusione» su alcune liste elettorali nelle quali «i cittadini non trovavano il proprio nome». Accuse smentite nella conferenza stampa di ieri da parte del ministro dell’interno Abdelouafi Laftit, che ha affermato che il voto si è svolto «in circostanze normali, salvo casi isolati».

Nessun partito ha ottenuto, in confronto al precedente dominio del Pjd, la maggioranza assoluta nel parlamento marocchino cosa che richiederà alleanze e una coalizione di governo con la nomina, come prerogativa del re, del primo ministro appartenente al partito che ha ottenuto più voti.
Secondo alcuni analisti «poco importa e poco cambierà – come ha spiegato all’Afp il politologo marocchino Mohamed Chiker – le direzioni principali sono stabilite dal re e le elezioni servono solo a produrre le élite politiche in grado di attuarle», precisando che durante la campagna elettorale la maggior parte dei partiti ha ignorato «le questioni relative alle libertà individuali e di opinione», come nel caso di alcuni giornalisti (Omar Radi e Souleiman Raissouni) o nei confronti del leader delle proteste del Rif, Nasser Zefzafi.

LA NUOVA COSTITUZIONE del 2011 – ottenuta dopo le proteste del Movimento 20 febbraio nato nel periodo delle primavere arabe – ha definito meglio la separazione dei poteri e il ruolo del re, avvicinando il Marocco a un sistema di monarchia costituzionale. Alcuni mesi fa Mohammed VI aveva annunciato un piano per un «nuovo modello di sviluppo» con una serie di riforme da adottare nei prossimi anni per aumentare la produzione economica, mettendo in evidenza «l’indiscussa centralità della monarchia nella politica nazionale», con l’esplicita indicazione che tutti i partiti, anche di opposizione, aderissero all’iniziativa.

Riguardo l’affluenza alle urne, la media nazionale è stata del 50,35%. Alta astensione in particolare nelle aree meridionali, mitigata solo dall’accorpamento delle elezioni legislative a quelle locali.

POLEMICHE E RIMOSTRANZE da parte del Fronte Polisario, legittimo rappresentante del popolo saharawi nei territori occupati. Il ministro dei Territori e delle Comunità occupati, Mohamed El Ouali Akik, ha affermato che «l’intenzione del Marocco di tenere elezioni nel Sahara occidentale occupato costituisce una chiara violazione del diritto internazionale». Nei territori del Sahara Occupato secondo i dati forniti da Rabat l’astensione è stata dell’80%.