Il modello Marche è quello che Giorgia Meloni definisce da tempo come laboratorio per attuare alcune delle politiche a lei care, prime fra tutte quelle che riguardano l’ostacolare l’autodeterminazione delle donne. Aborto, consultori, pillola abortiva, dall’insediamento di Francesco Acquaroli, Fratelli d’Italia, nel 2020, tanti passi indietro sono stati fatti sulla pelle delle donne. Nelle Marche non sono state ancora recepite le note linee guida sulla somministrazione della Ru486, la pillola abortiva, emanate dall’allora ministro alla Salute Roberto Speranza nel 2020, secondo le quali la procedura di aborto farmacologico, nella regione consentita solo fino a sette settimane, sarebbe dovuta aumentare a nove ed essere permessa anche nei consultori.

MA NELLA REGIONE quegli stessi consultori pensati come servizio alle donne, non fanno che perdere pezzi: a maggio la consigliera Manuela Bora del Partito Democratico, che da tempo si batte su questi temi, dopo aver verificato di persona, si era fatta firmataria di un’interpellanza sull’insufficienza di sedi, orari di apertura scarsi, così come di figure professionali adatte, oltre alla presenza indebita di obiettori di coscienza. Problematiche che non hanno ricevuto risposta e che sono state dribblate dall’assessore competente, Filippo Saltamartini che, tra le altre cose, definisce le linee guida non vincolanti. Nonostante la 194 insista sull’aggiornamento dei metodi sanitari più rispettosi per la psiche e la salute della donna. La giunta marchigiana negli anni si è distinta grazie a personaggi come Carlo Ciccioli, neo eletto al Parlamento europeo, che da capogruppo di Fratelli d’Italia in regione disse che l’aborto andava combattuto altrimenti si sarebbe andati contro la sostituzione etnica. O dall’assessora alle pari opportunità Giorgia Latini che disse di essere contraria all’aborto perché devono essere tutelati i bambini, proprio durante la discussione sulla Ru.

LE ACQUE per un po’ si sono calmate, per lo meno nelle uscite spropositate, proprio perché al laboratorio Marche è arrivato l’aiuto dall’alto. Con l’approvazione del Pnnr è passato l’ok in tutta Italia per la presenza e il finanziamento delle cosiddette associazioni provita nei consultori, una norma che si riallaccia al passaggio della 194 riguardante il «coinvolgimento di soggetti del terzo settore che abbiano una qualificata esperienza nel sostegno alla maternità». Ed è proprio su questo che la consigliera Bora ha chiesto conto a Saltamartini martedì in consiglio. Lui ha risposto che sono pervenute in regione già alcune richieste di accesso ai fondi e che verranno presto esaminate e valutate le domande. «Questo è un passo in avanti senza pregiudizi ideologici. E dico al Pd che è un errore creare contrapposizione ideologica in materia», ha concluso non rispondendo però sulle linee guida, né sullo stato dei consultori in regione. «Non si sa neanche di che professionalità dispongono queste associazioni che saranno nei consultori. Il ruolo dei consultori è quello di una procreazione consapevole e responsabile, vanno rafforzati, ma nel piano socio sanitario al momento non ci sono fondi», spiega Bora. «Così si favoriscono entità private in spazi pubblici quando sappiamo che già ci sono numerose donne che sono state costrette ad ascoltare il battito del feto prima dell’aborto e altre che arrivano all’ultimo giorno disponibile per la lentezza del sistema».

UN SISTEMA ben fotografato da un recente rapporto stilato dalle associazioni femministe del territorio che hanno chiesto i dati direttamente alla regione. Poche strutture e pochi medici non obiettori: il 30% delle marchigiane cambia provincia per abortire, quasi il 12% cambia regione. Nei consultori, adibiti al rilascio della certificazione per accedere all’aborto, non è consentita per legge l’obiezione di coscienza, ma solo nove sedi su 66 sono in regola secondo i dati di pro choice Rica. «Nelle Marche si spostano i medici come pedine per non far vedere i buchi enormi: ci sono con ospedali che hanno solo un non obiettore, così migrano i medici e l’utenza – spiega Marte Manca della rete Rica – A complicare il tutto poi abbiamo la specificità per cui il certificato per l’ivg va fatto nella propria provincia di residenza, ma questo non è evidenziato dalla 194».