C’è grande preoccupazione per la libertà dei commerci occidentali che passano dal Mar Rosso, ma nessuno sembra interessato al rischio di disastro ecologico che incombe sull’area. Il 2 marzo, 13 giorni dopo essere stata colpita dai missili degli Houti, è affondata la nave Rubymar.

In una prima comunicazione via X del 24 febbraio, il comando centrale statunitense ha dichiarato che il cargo, battente bandiera del Belize ma di proprietà britannica, trasportava oltre 41mila tonnellate di fertilizzante. In un secondo tweet del 3 marzo le stesse autorità Usa hanno fatto riferimento a 21mila tonnellate di fertilizzante a base di solfato fosfato di ammonio.

Secondo il direttore dei programmi per il Nord Africa e il Medio Oriente di Greenpeace Julien Jreissati si rischiano «conseguenze di vasta portata». Se l’acqua facesse breccia nello scafo entrando in contatto con una simile quantità di prodotti chimici si sconvolgerebbe «l’equilibrio degli ecosistemi marini, innescando effetti a cascata lungo tutta la catena alimentare» con conseguenze su specie animali e comunità costiere.

«Servono misure urgenti per scongiurare un’imminente crisi ambientale e umanitaria. Mentre parliamo, la punta della prua della nave sembra rimanere precariamente a galla. Ritardare gli interventi di emergenza fino a quando sarà sul fondo dell’Oceano aumenterebbe significativamente la complessità delle operazioni. È imperativo che una squadra di esperti venga prontamente inviata sul posto, con il compito di valutare la situazione e orchestrare un piano di risposta», dice Jreissati al manifesto.

La questione, ovviamente, è quale autorità dovrebbe farlo. Nell’area del Mar Rosso mancano unità navali antinquinamento specializzate e mezzi logistici (come panne galleggianti, skimmers, disperdenti, etc.) in grado di contenere e neutralizzare gli inquinamenti marini. Nonostante ciò, a livello internazionale finora non circolano proposte sulla tutela ambientale.

In Italia, che ieri ha votato la missione Aspides a difesa del traffico commerciale marittimo, dal ministero della Difesa fanno sapere che quel fronte non rientra tra i suoi compiti e da quello degli Esteri che non ci sono discussioni in corso. Eppure il nostro paese disporrebbe «delle capacità tecniche e logistiche necessarie ad allestire prontamente una task force di pronto intervento antinquinamento, che andrebbe schierata in un porto ospitante quanto più possibile prossimo allo Stretto di Bab el-Manteb», dice una fonte di alto livello che preferisce restare anonima. Bisognerebbe insistere a livello Ue per accelerare i tempi, ma la questione sembra fuori da qualsiasi orizzonte.

Intanto ieri i ribelli yemeniti spalleggiati dall’Iran hanno colpito la portacontainer Msc Sky, che navigava nel golfo di Aden, con un missile. A bordo sarebbero divampate le fiamme, ma non si registrano feriti. La Msc Sky avrebbe proseguito la rotta senza chiedere assistenza.

La Rubymar è stata la prima nave affondata dagli Houti, ma rischia di non essere l’ultima. Nonostante le missioni militari occidentali. Soprattutto se il governo israeliano di Benjamin Netanyahu si ostinerà a continuare la carneficina a Gaza anche durante il Ramadan, che inizia domenica.