A partire dal 19 novembre 2023, gli Houthi, tra i numerosi gruppi armati allineati con l’Iran in Medio Oriente, al pari di Hezbollah in Libano e di milizie sciite in Iraq, hanno lanciato attacchi contro imbarcazioni che ritengono siano legate a Israele, provocando il dirottamento delle navi dal Mar Rosso, ostacolando il commercio mondiale e la libertà di navigazione.
Queste attività del gruppo armato yemenita, che nel 2014 ha preso il controllo della capitale dello Yemen, Sana’a, e che attualmente controlla gran parte dello Yemen settentrionale e la maggioranza della sua popolazione, hanno suscitato una reazione militare da parte di numerosi Paesi.
La prima risposta, nel dicembre 2023, è stata la Prosperity Gaurdian, ossia l’operazione militare che vede gli Stati Uniti alla guida di una coalizione di più di 20 Paesi, operazione dai confini alquanto fumosi posto che, a tutt’oggi, non sia del tutto chiaro quali Stati ne facciano effettivamente parte.
Successivamente, il 10 gennaio 2024 il Consiglio di Sicurezza ha adottato la Risoluzione 2722, in cui, in merito agli attacchi nel mar Rosso, si afferma che «l’esercizio dei diritti e delle libertà di navigazione da parte delle navi mercantili, conformemente al diritto internazionale, deve essere rispettato» limitandosi a «prende atto del diritto degli Stati membri, conformemente al diritto internazionale, di difendere le proprie navi dagli attacchi, compresi quelli che minano i diritti e le libertà di navigazione».
In questa Risoluzione, in cui non si riscontra nessuna autorizzazione all’uso della forza contro gli Houthi ai sensi del Capitolo VII della Carta delle Nazioni Unite, va inquadrata la Missione Aspides istituita dall’Unione europea a tutela del traffico marittimo nello stretto di Bab-el Mandeb. Innanzitutto, a mo’ di premessa, va ricordato che se l’art. 51 della Carta delle Nazioni Unite ricostruisce legittima difesa come risposta a un attacco armato, la Corte Internazionale di Giustizia sembra aver respinto un più ampio diritto consuetudinario all’autodifesa quando ha affermato concisamente che questo diritto «non consente l’uso della forza da uno Stato per proteggere gli interessi di sicurezza percepiti al di là degli (attacchi armati)» – così si è infatti espressa la Corte dell’Aja nel 2005 nella sentenza Repubblica Democratica del Congo c. Uganda, § 148).
Anche a non voler aderire alla posizione di chi ritiene che diritto all’autodifesa non si applichi alla navigazione commerciale, posto che la libertà di navigazione sia regolata dalla Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare, che, in materia di pirateria, dà il diritto di sequestrare le navi usate a tal fine e di perseguirne l’equipaggio, non già dunque di bombardare, la legittima difesa, diritto naturale, inalienabile e preesistente alla Carta delle Nazioni unite, deve rispettare per essere tale una serie di paletti che circoscrivono uno stretto perimetro dato dai principî di distinzione, necessità, proporzionalità e immediatezza.
Il primo principio sancisce l’obbligo fondamentale di dirigere gli attacchi soltanto contro i combattenti e gli obiettivi militari, distinguendo da questi la popolazione, le persone e i beni civili che non devono essere oggetto di attacchi. Il secondo requisito, la necessità, fa sì che le azioni adottate saranno legittime solamente nella misura in cui esse costituiscono l’unico strumento (non quindi semplicemente il più rapido, il più economico, il più comodo) volto a scongiurare il pericolo cui ci si voglia sottrarre, e dunque sussiste nelle sole ipotesi in cui il pericolo non sia altrimenti evitabile.
La terza caratteristica, la proporzionalità, fa perno sul rapporto tra il male derivante dalla difesa, e quello che è derivato, o sarebbe derivato dall’offesa, rapporto che può considerarsi rispettato quando il danno cagionato dalla risposta rispetto all’attacco subìto risulti inferiore o uguale (o, al limite, tollerabilmente di poco superiore).
Infine, il quarto profilo impone a chi agisca a titolo di autodifesa il rispetto dell’immediatezza, il che implica che l’attacco a cui si risponde deve aver già avuto corso, o quanto meno deve essere in corso al momento della reazione: non sarebbe ammissibile quindi la legittima difesa preventiva.
Il fil rouge che lega questi quattro requisiti è lo scopo dell’autodifesa: respingere l’attacco. Il fine, cioè, dev’essere esclusivamente esecutivo. Se viene meno il rispetto di uno o più di questi limiti la ratio diventa sanzionatoria, il che trasforma la legittima difesa in rappresaglia armata punitiva, vietata dall’attuale diritto internazionale.
Ebbene, vedremo se la Missione Aspides risponderà a una logica esclusivamente difensiva, e non eminentemente», avverbio che, ora espunto dalla legge parlamentare di autorizzazione, appariva in modo del tutto sconcertante nella versione originaria della norma, allargando maglie in un contesto dove, viceversa, appare quanto mai opportuno sigillare tutti gli spiragli dell’eterogenesi dei fini, oppure contribuirà a un’ulteriore escalation, esacerbando tensioni regionali o minando ulteriormente la pace regionale, la sicurezza o il commercio internazionale.
* Docente di Diritto internazionale all’Università di Camerino