Sorpresa! La manovra aggiuntiva sulla quale l’Europa insisteva a gran voce ancora venerdì scorso nell’incontro tra il ministro Padoan e il vicepresidente della Commissione europea Dombrovskis, non si farà più. O meglio, la si farà per finta come era dall’inizio nei progetti di Matteo Renzi. Sempre che la Ue accetti naturalmente, e il particolare è ancora tutto da verificare.

Il governo ha deciso ieri di fare decidere a Renzi, cioè di far «prevalere la politica sulle considerazioni tecniche», come da imperiosa richiesta del Nazareno.

Servono 3,4 miliardi per recuperare quello 0,2% in più che Bruxelles reclama? Bene, si tolga subito un miliardo che servirà per finanziare il rilancio industriale delle zone terremotate. Le misure a favore delle zone colpite dal sisma non incidono sul deficit strutturale, dunque non rientrano nel Patto di stabilità, et voilà, il gioco è fatto.

Resterebbero, è vero 2,4 miliardi. Ma al Mef sono convinti, o almeno così dicono, che in Europa «ci sia un clima positivo a favore dell’ampliamento dello split payment», cioè del versamento diretto nelle casse dello Stato, da parte delle amministrazioni locali, dell’Iva sulle fatture emesse dai fornitori. Così, senza colpo ferire, verrebbe coperta un’altra fetta, tra il miliardo e il miliardo e mezzo. Per il resto correrebbero in soccorso le tipiche voci jolly, quelle a cui si fa abitualmente ricorso in questi casi: «lotta all’evasione fiscale», «tagli alle spese dei ministeri».

Il gioco di prestigio, perfetto sulla carta, rischia di incontrare uno scoglio insuperabile. Il governo ha infatti già chiesto a più riprese di sottrarre dal totale le spese per il terremoto, e gli è sempre stato risposto che delle emergenze, cioè delle spese per immigrazione e terremoto, era già stato tenuto conto. Nella lettera di risposta alla Ue, il primo febbraio scorso, Padoan era stato vago, pur tratteggiando una manovra diversa da questa. Ma dopo l’immediata lavata di testa arrivata da Bruxelles, il ministro, rivolto al Parlamento, aveva modificato la linea consegnata alla lettera spedita la sera prima e aveva accettato le condizioni dell’Ue.

Di conseguenza la scelta di considerare le spese per il terremoto, peraltro ipotetiche, nella manovra che verrà annunciata pochi giorni dopo il varo del Def, fissato per il 10 aprile, è a tutti gli effetti una sfida. È quello che voleva Renzi, convinto che non si dovesse cedere. Del resto ancora domenica l’ex premier aveva attaccato la Ue a testa bassa: «Si è impantanata. Sull’austerity sono state prese misure devastanti». Per una volta è impossibile dargli torto. Ieri poi Renzi ha rincarato nella sua e-news: «L’Europa non ci ha dato la flessibilità. Ce la siamo presa combattendo una durissima battaglia».

Per due mesi tra Renzi da un lato e i ministri Padoan e Calenda dall’altro è proseguito un sordo braccio di ferro proprio sulla manovra di aprile. La scelta di ieri segnala che, dopo l’affondo coordinato dello stesso Renzi e del presidente del partito Orfini contro i ministri tecnici, a spuntarla è stato l’ex premier. A far pendere la bilancia a favore del Nazareno è stata probabilmente la posizione del premier Gentiloni, che sin dall’inizio e anche a costo di tenere il suo governo al palo ha scelto di restare fedele in tutto e per tutto al suo predecessore. Ieri, infatti, il premier ha preannunciato, certo con i suoi toni molto diversi da quelli di Renzi, un braccio di ferro anche nella partita, ben più grossa di quella che riguarda la manovra, della prossima legge di bilancio e delle misure da assumere per evitare la procedura d’infrazione per mancato rientro sul debito: «Ci sono norme e vincoli europei che non dobbiamo dare per intoccabili. Da qui all’autunno la discussione con Bruxelles sarà aperta».

L’esito della vicenda che riguarda la manovrina, con in ballo una cifra contenuta, «una somma non impossibile» come la definisce Prodi, inciderà inevitabilmente sulla partita vera, quella a cui allude Paolo Gentiloni. Renzi non ha mai nascosto di considerare il diktat di Bruxelles sullo «zero virgola» un bluff. Ha insistito per rilanciare e il governo ha deciso di seguirlo. Se un passo indietro dell’Europa dimostrerà che aveva ragione, il gioco verrà ripetuto in autunno, su scala ben più vasta.