Al popolo di sinistra argentino lo scenario non è mai apparso tanto desolante. Per le elezioni presidenziali di oggi, infatti, nessuna delle due alternative in gioco risulta auspicabile: turarsi il naso e votare Sergio Massa della coalizione governativa Unión por la Patria – tra tutte le anime del peronismo decisamente quella più impresentabile – o rischiare che vinca Patricia Bullrich di Juntos por el Cambio o, più probabilmente e ancora peggio, Javier Milei di La Libertad Avanza.

È TRA LORO TRE – a detta di molti, una scelta tra male, peggio e pessimo – la gara per la presidenza, da cui sembrano tagliati fuori gli altri due candidati: il governatore di Cordoba Juan Schiaretti e la leader del fronte di sinistra Myriam Bregman, alla quale, malgrado l’ottima campagna elettorale, i sondaggi attribuiscono appena il 4%. L’ennesima vittima del voto utile.
Il fatto è che se Massa è un neoliberista gradito all’ambasciata Usa, aperto sostenitore dell’estrattivismo e totalmente allineato ai programmi di aggiustamento imposti dal Fmi, gli altri suoi due rivali sono di gran lunga peggio.

DA UN LATO la famigerata ministra della sicurezza di Mauricio Macri – una gestione, la sua, che verrà ricordata tra l’altro per la scomparsa e la morte di Santiago Maldonado e per l’assassinio di Rafael Nahuel –, impegnata a spostare l’asse di Juntos por el Cambio verso posizioni più aggressive, proponendo per esempio l’eliminazione dei programmi sociali e l’ampliamento della partecipazione delle forze armate nei conflitti interni. Tanto per non sfigurare di fronte a Milei.

DALL’ALTRO, l’istrionico candidato anarco-capitalista che ama agitare la motosega nei comizi – a indicare che fine farà con lui la spesa pubblica – e per il quale persino la vendita di organi può rientrare a pieno titolo fra le diverse espressioni del mercato. Di lui si è scritto già moltissimo, anche in Italia: sui suoi furiosi attacchi contro la casta dei politici da prendere «a calci in culo» – musica per le orecchie di una consistente parte della popolazione argentina esausta per la crisi economica -, sulle sue idee liberiste radicali come l’abolizione della banca centrale e un drastico ridimensionamento del ruolo dello Stato, con una riduzione dei ministeri da 18 a 8 (incluso il taglio di quelli dell’istruzione, della sanità e dell’ambiente), sulle sue idee negazioniste in relazione tanto all’emergenza climatica – una «menzogna socialista» – quanto agli orrori della dittatura militare.

I TRE, IN REALTÀ, abbracciano tutti versioni, seppure un po’ diverse, delle stesse politiche di austerità, a base di tagli ai salari e alla spesa sociale secondo i dettami del Fmi, per quanto Milei si spinga anche oltre, proponendo un aggiustamento fiscale «molto più profondo» di quello raccomandato dal Fondo monetario e per quanto Massa abbia tentato di prendere le distanze dal suo stesso governo, come se non avesse avuto niente a che vedere, nella sua veste di ministro dell’economia, con le ricette del Fmi.

Ma se riguardo alla sfera economica le differenze fra i tre non sono poi così pronunciate, sul piano politico-democratico c’è invece un abisso. A differenza di Massa – se non altro sostenuto da una coalizione che presenta posizioni più progressiste delle sue – tanto Bullrich quanto Milei non si preoccupano infatti neppure di nascondere l’intenzione di attaccare a testa bassa il diritto di organizzazione dei movimenti popolari come pure di liquidare quello alla contrattazione collettiva. E se il neoliberismo di Bullrich è ferocemente repressivo, Milei si spinge pure a negare la realtà dei desaparecidos e a prendere le difese dei torturatori della dittatura. In questo, peraltro, sorpassato a destra dalla sua vice Victoria Villarruel, ribattezzata non a caso “Villacruel”, da sempre fervente sostenitrice della “teoria dei due demoni” (quella che pone sullo stesso piano i macellai del regime militare e i leader della guerriglia) e nota per le sue visite in carcere a Videla come per i suoi attacchi a Estela Carlotto.

Quanto alla politica estera, anche Massa, come Bullrich e Milei, si è mostrato, durante il dibattito televisivo tra i candidati, completamente allineato agli Stati Uniti e a Israele, ma il leader di La Libertad Avanza, prossimo a una conversione all’ebraismo – papa Francesco è per lui il vicario di Satana sulla terra – , è andato ben oltre, annunciando l’intenzione di spostare l’ambasciata da Tel Aviv a Gerusalemme e di sottrarsi a ogni collaborazione con “paesi socialisti” come Cina, Brasile, Colombia, Cile e Messico.

NEPPURE LA SCELTA di turarsi il naso, però, potrebbe alla fine pagare: per vincere al primo turno bisogna superare il 45%, o il 40% ma con dieci punti di vantaggio. Altrimenti si andrà al ballottaggio il 19 novembre, e tra Massa e Milei o tra Massa e Bullrich, al momento, secondo i sondaggi, il candidato governativo uscirebbe sconfitto in entrambi i casi.