Un’estate di otto anni fa la cara e indimenticata Michela Murgia ebbe a fare un’incursione su Facebook a proposito del celebre e stupendo “tenore di Bitti”, ineluttabilmente scritto e detto come “tenores di Bitti”: «Passi quello che dice “la seadas”. Passi anche quello che dice “la frègola”. Ma quello che dice “i tenores” deve soffrire molto, specialmente se in quel tenore ci canta».

Con Michela – assieme alla quale condividevo chiacchiere e la singolare avventura di Sardegna Possibile – ci scambiammo parole un po’ sconsolate, ma anche un certo divertimento su questo plurale sbagliato e ricorrente.

Ieri ho visto, nel corso del Festival di Sanremo, la bella performance di Mahmood assieme al tenore di Bitti, presentato ineluttabilmente come “Tenores di Bitti”, nei sotto titoli e da tutta la stampa, compresa quella sarda e lo stesso nostro ‘manifesto’.

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Intanto, il ‘canto a tenore’ è un canto polifonico sardo, di forte radicamento barbaricino. Patrimonio Mondiale dell’umanità secondo l’Unesco, il termine tenore in questo caso non indica un singolo cantante, ma un gruppo di quattro voci di un determinato paese che esegue questo tipo di canto, che pare molto arcaico. Dovremmo perciò dire “tenore di Bitti” e usare “tenores” solo in presenza di diversi gruppi (ad esempio, i tenores di Bitti, Fonni, Orgosolo, Orosei etc.).

Premesso che non capita solo alla lingua sarda di subire plurali sbagliati, come succede per le gustose seadas – piacevoli “ravioloni” tondi con formaggio fresco, da ricoprire di miele, che fanno seada al singolare – e per i mamuthones, arcaica maschera di Mamoiada, che fa mamuthone al singolare (penso alla lingua bretone, alla sequenza, ben documentata nella comunità scientifica, di menhirs e dolmens, laddove menhir e dolmen sono termini indeclinabili), la questione incuriosisce e invita a un tentativo di spiegazione.

Non sono linguista, e neppure antropologo (sono solo un archeologo), perciò mi scuserete se mi lancio in qualche ipotesi e ragionamento da non esperto.

Questo uso sgangherato del plurale lo vediamo, come prima accennavo, in esempi affini: dall’abitudine di dire “mi dia una seadas” oppure “vuole una seadas?” invece che una seada, oppure “che bella quella maschera di mamuthones” , invece che “di mamuthone”. Oppure ancora: andiamo a vedere il nuraghes di Barumini.

Un primo avvicinamento al senso di tale errore deve considerare che gli italiani non conoscono il sardo, ciò che è naturale, impiegando perciò il plurale per una parola al singolare; ma che anche parecchi sardi stanno acquisendo l’errore, proponendo di gustare una seadas, di acquistare una maschera di mamuthones, di ascoltare i tenores di Bitti.

Va anche detto che quest’uso del plurale si nota in parole di origine spagnola: il 23 agosto del 2016, a seguito della distruzione, in Inghilterra, di un murale di Banksy, per il TG3, la Repubblica e il Corriere della Sera l’opera scomparsa diventò “il murales di Banksy”.

Forse, a fronte di una scansione singolare/plurale non prevista nella propria lingua gli italiani vanno per il sicuro e usano il plurale perché ce n’è di più (alla peggio contiene comunque il singolare. Mi ricorda un po’ il mignolo erto degustando una tazzina di caffè); qualcuno si sentirà più esotico. Non pochi sardi che usano questa maniera sgangherata si sono un filo autocolonizzati, smarrendo singolari e plurali della propria lingua….

Per rompere il ghiaccio (ices) magari potremmo iniziare a costruire un manualetto pronto per diverse situazioni.

A. Se in ristorante, trattoria o pizzeria ci chiedono ‘Gradite una seadas’ ecco una prima serie di risposte possibili
1. No, grazie. Mi porti i conti
2. Si, ma senza zuccheri, solo con i mieli
3. Quante padelle usa?

B. Se qualcuno vi invita a una serata musicale dicendoti “Ciao, vieni a sentire il canto a tenores di Fonni” si potrebbe rispondere
1. Ci sono molti gruppi?
2. Sono tre come Carreras, Domingo e Pavarotti?
3. Quello degli Uneschi?

E via dicendo (a proposito: Amadeus è singolare o plurale?).