Tre blocchi si fanno fronte dopo il primo turno delle elezioni presidenziali di domenica: Emmanuel Macron, arrivato in testa con il 27,84% (pari a 9.785.578 voti), Marine Le Pen, che si qualifica per il ballottaggio del 24 aprile con il 23,15% (8.136.369 i voti) in e, in una posizione oggettiva di arbitro, Jean-Luc Mélenchon della France Insoumise al 21,95% (lo hanno votato in 7.714.949), che ha sfiorato il successo e il sorpasso dell’estrema destra, mancato per meno di mezzo milione di schede. Sono stati tre «voti utili» nei rispettivi campi, attenuati dalla forte astensione, al 25,1%, la più alta da vent’anni alle presidenziali (ma sotto il record del 2002, l’anno dell’irruzione dell’estrema destra al ballottaggio). Per questo, il risultato finale è incerto, molto più a rischio che nel 2017 (anche se Macron aumenta i voti rispetto a 5 anni fa, più di un milione rispetto al primo turno del 2017, ma la stessa cosa succede ai due contendenti: Le Pen ne guadagna quasi 500mila e Mélenchon 655mila).

I PARTITI STORICI, che durante la Quinta repubblica, almeno fino al 2017, hanno rappresentato l’alternanza e che governano ancora a livello locale (regioni, dipartimenti, comuni), sono praticamente spazzati via e rovinati finanziariamente: il Ps è a terra, mai così basso in tutta la sua storia, Anne Hidalgo ha preso l’1,7%, Lr, gli eredi del gollismo, con Valérie Pécresse sono al 4,7%, cioè sotto il 5% che è la soglia per ottenere il rimborso delle spese elettorali. Il «voto efficace» a sinistra ha penalizzato Europa Ecologia: Yannick Jadot ottiene solo il 4,5%.

Il Pcf, che dopo due tornate senza candidato, si è ripresentato con Fabien Roussel è al 2,3% (802.615 le preferenze per lui) ed è accusato dalla France Insoumise di aver fatto mancare i voti indispensabili per battere Le Pen.

Da ieri è iniziata la breve campagna per il ballottaggio. Macron si butta nell’arena, ieri è stato nel Nord-Pas de Calais, terre di Le Pen, per incontrare un elettorato popolare che non lo vota. Oggi sarà a Strasburgo e Mulhouse, anche qui zone dove il voto estremista a destra è forte. Ha teso la mano agli elettori che si proiettano nel futuro.

IL CAMPO LE PEN URLA che il 72% dei francesi ha votato contro Macron e cerca di attirare tutto lo scontento e la rabbia di ogni tipo. Anne Hidalgo, Fabien Roussel, Yannick Jadot, già la sera di domenica, hanno invitato i propri elettori a votare Macron, con chiarezza, ma la sinistra che non ha votato Mélenchon è ormai in totale solo all’8,6%. Valérie Pécresse ha detto che a titolo personale lo farà, ma non ha fatto nessun appello generale, anche perché Lr (Les Républicains) sono spaccati, una parte, a cominciare da Eric Ciotti (arrivato secondo alle primarie interne) ha detto: «Non voto Macron».

JEAN-LUC MÉLENCHON sulla carta è l’arbitro. Domenica sera, a differenza del 2017, ha ripetuto tre volte: «Che nessun voto vada all’estrema destra». Ma non ha fatto il nome di Macron, non ha detto chiaramente di mettere nell’urna la scheda Macron. L’elettorato di Mélenchon è profondamente diviso: secondo un sondaggio, il 34% si asterrà, il 30% voterà per Marine Le Pen, il resto – che riguarda soprattutto quelli che hanno scelto il leader della France Insoumise per il «voto utile» – dovrebbe scegliere la scheda Macron.

IL FRONTE REPUBBLICANO, la barriera all’estrema destra, non esiste più, dopo 50 anni di esistenza del Fronte nazionale, oggi Rassemblement national. Mélenchon da tempo prende in giro i «castori» che vogliono fare «barriere». Marine Le Pen ha delle riserve di voto. Prima di tutto Eric Zemmour, che con il 7% è al quarto posto: ha attirato all’estrema destra nuovi consensi e sottolinea che i tre quarti degli elettori hanno dato un voto «di contestazione, contro il sistema, contro la politica di Macron». C’è poi il 2% del complottista anti-vax e anti-pass Nicolas Dupont-Aignan, mentre il ruralista Jean Lassalle, che ha sorprendentemente raddoppiato i voti rispetto al 2017 (è al 3,1%) e adesso parla di «libertà di voto» per i suoi elettori (non si schiera, ma visti i contenuti della sua campagna, è probabile che molti sceglieranno Marine Le Pen).

ORA SI VEDRANNO I TEMI della campagna del ballottaggio. Marine Le Pen punta al «tutto salvo Macron», per convogliare la contestazione e anche il rigetto che solleva presso una parte della popolazione la persona stessa di Macron, additato come «il presidente dei ricchi», un livello di odio vero e proprio in un pese «in stato di rabbia, in un’ebollizione terribile», secondo la descrizione di Alexis Corbière della France Insoumise. Uno studio dell’Ina (Istituto nazionale dell’audiovisivo) rileva che mai in Francia come negli ultimi sei l’estrema destra è stata così presente nei media, cosa che ha contribuito alla sua «banalizzazione».

Marine Le Pen, nel primo turno, ha nascosto sotto il tappeto le idee più estremiste, sull’immigrazione, la preferenza nazionale, le alleanze internazionali, per insistere sul «potere d’acquisto»: c’è dell’Orbán nella sua campagna, l’alleanza con la Russia per avere il suo gas a basso prezzo (e da Ungheria e Polonia, riprende anche la priorità delle leggi nazionali su quelle europee, cioè l’allontanamento dalla Ue). Le Pen parla chiaramente di «scelta di società e anche di civiltà». Questo potrebbe rappresentare un elemento di rigetto per gli elettori di Mélenchon: riesumare il «fronte repubblicano» dato per morto, anche a causa della perdita di prestigio e potere dei partiti politici.

PER MACRON, INIZIA una strada in salita. L’appello alla ragione, all’Europa ha già convinto la sua base, fatta di classi agiate e persone più anziane. I giovani questa volta gli hanno voltato le spalle. Più del 40% degli elettori tra i 18 e i 34 anni si è astenuto, un’astensione altissima anche nei quartieri popolari. Con Macron, la disoccupazione, anche giovanile, è calata (dal 9,5% al 7,2%), ma al prezzo di una precarizzazione crescente, sentita soprattutto dai più giovani.

Della campagna del primo turno, di Macron è rimasto impresso nelle menti soprattutto l’innalzamento dell’età pensionabile a 65 anni (ma già ieri ha detto che «non si farà dall’oggi al domani, faremo concertazione per migliorare collettivamente la riforma») e l’Rsa (il reddito di solidarietà) condizionato a 15-20 ore la settimana di attività (formazione verso un lavoro): proposte che allontanano i giovani e le classi popolari. Macron tende la mano «a tutti coloro che, di fronte alle crisi in corso e a venire, vogliono una Francia che continui a dare fiducia alla scienza, alla ragione, alle competenze, all’Europa». Il ministro delle Finanze, Bruno Le Maire, dice: «Noi abbiamo i finanziamenti per il nostro modello sociale, quella di Le Pen è una Francia ristretta, che ha paura, che volta le spalle all’Europa».

In ogni caso, i due programmi sono soggetti a cauzione: a giugno ci sono le legislative e bisognerà avere la maggioranza all’Assemblée nationale per poterli attuare.

LA SINISTRA NON insoumise è a terra. Quest’area ha raccolto, in tutto, un po’ più dell’8%. Per il Ps, crollato all’1,7 mentre nel 2012 aveva tutti i poteri (presidenza della Repubblica, parlamento, maggioranza di regioni, enti locali, comuni) è «una sconfitta storica», ha commentato il segretario del Ps, Olivier Faure, il baratro della sparizione è aperto. Ségolène Royal, ex candidata socialista alle presidenziali, accusa Ps, Pcf e Verdi di «non aver avuto il senso del dovere», di non aver abbandonato le candidature a favore di Mélenchon, a causa degli «ego» di Hidalgo, Roussel, Jadot. Per questi partiti adesso c’è il problema dei rimborsi delle spese elettorali (che scattano dal 5% dei voti, lo stesso problema esiste per Lr, il partito di Sarkozy). «È scomparsa l’alternanza moderata, viene accettato che questa si faccia con l’estremismo», analizza la politologa della Fondation Jean-Jaurès, Chloé Morin.