Bakhmut è un carnaio ricoperto di neve e di fango. La “fortezza inespugnabile” – come l’ha definita il generale ucraino Alexander Syrsky – appare oggi come un’immensa distesa di macerie e trincee, che i russi stanno cercando di accerchiare sia da nord che da sud. Raggiungere la città non è cosa facile. La strada T0504, che fino a sette giorni fa collegava Bakhmut a Kostjantynivka, venticinque chilometri più a ovest, è oggi sotto il tiro costante delle artiglierie nemiche. L’unica via d’accesso consiste in un intricato dedalo di stradine di campagna, rese ancor più insidiose dalla neve e dal ghiaccio. Ci si inerpica su e giù per una serie di alture, oltre le quali, tetri come fantasmi, appaiono i primi palazzi della periferia occidentale della città.

NELLA CENTRALISSIMA vulytsya Myru – che tradotto in italiano significa “via della pace” – l’unico suono che si sente è quello delle esplosioni. Proprio qui, nel seminterrato di un palazzo semidistrutto, si sono barricati una dozzina di civili. Non hanno né luce né acqua né gas, e i loro telefonini non funzionano ormai da settimane. «Fate sapere a mio fratello che sono viva e sto bene», ci supplica Alona, ottant’anni, il volto smagrito e arrossato dal gelo. Di fronte a lei, altri due anziani sorbiscono in silenzio un piatto di minestra. Il fratello di Alona si chiama Vania e vive a Dnipro, a più di duecentocinquanta chilometri di distanza da questo inferno: con voce tremante, ma scandendo a memoria ogni singola cifra, la donna ci detta il suo numero di telefono. Dopodiché pretende una promessa: «Ty pozvonish’ yemu? Lo chiamerete, vero?».

IERI NOTTE, quaggiù, la minima era di meno nove: sopravvivere in queste condizioni, senza riscaldamento e con i vetri infranti dalle schegge, sarebbe arduo anche per un ventenne. Eppure, nonostante il gelo e le bombe, nessuno sembra avere intenzione di andarsene: «Questa è casa nostra, qui siamo nati e qui moriremo», ci ripetono gli ultimi superstiti di vulytsya Myru. Ma intanto la battaglia continua, e i russi seguitano a venire avanti. Da giorni, il centro di Bakhmut è sottoposto a un bombardamento incessante. Grad, missili e proiettili di artiglieria fischiano senza tregua sopra i tetti delle case, per poi schiantarsi fragorosamente – a seconda della provenienza – nei sobborghi occidentali o in quelli orientali della città. Le regole di base, qui, sono semplici e chiare: bisogna camminare sempre rasente ai muri dei palazzi, e appena si sente un fischio è necessario gettarsi a terra. Il pericolo più insidioso è rappresentato dai droni: d’improvviso te li senti ronzare sopra la testa, e allora devi metterti immediatamente al riparo, in uno scantinato o dentro il portone di un condominio. Se non lo fai – che tu sia in divisa o in abiti civili – rischi di trasformarti in un bersaglio, e il risultato può essere fatale: una nuova esplosione e una nuova macchia di sangue sull’asfalto. A poche centinaia di metri dallo scantinato di vulytsya Myru i militari ucraini hanno allestito un piccolo ospedale da campo. Lo presidiano alcuni soldati, qualche infermiere e un ex veterinario dai capelli brizzolati: il via vai di feriti è continuo, giorno e notte. «Gdié russkiye? Dove sono i russi?» «Do dvukh kilometrov», rispondono gli uomini in mimetica: a meno di due chilometri. Ma la loro stima appare addirittura ottimistica, perché dalle finestre di vulytsya Myru abbiamo udito distintamente molti colpi di arma leggera.

STANDO ALLE ULTIME informazioni ufficiali diramate da Kiev, le unità dell’esercito di Putin avrebbero già occupato la periferia est di Bakhmut. A nord, la Wagner avrebbe preso possesso di uno stabilimento industriale affacciato sul fiume Bakhmutovka, sulle cui rive si starebbero combattendo sanguinose battaglie. Al contempo, le truppe di Mosca avanzano – seppur con lentezza – anche nei quartieri meridionali della città, dove alcuni reparti d’élite equipaggiati con visori notturni e termici stanno dando filo da torcere all’armata di Zelensky. Lo schema, insomma, è lo stesso di Mariupol e di Severodonetsk: i generali di Mosca puntano ad accerchiare l’avversario, stritolandolo con una classica manovra a tenaglia. Ci riusciranno? Nelle scorse ore, i media putiniani hanno annunciato che l’esercito ucraino, a Bakhmut, starebbe perdendo «almeno duecento uomini al giorno» e che la città si troverebbe «già per due terzi sotto il controllo russo». Di certo, in tutto ciò, c’è solo che la seconda informazione è del tutto priva di fondamento: nonostante la violenza degli assedianti – e le perdite umane lamentate dai difensori, senza dubbio numerose – oggi la città continua a resistere, e i suoi distretti centrali sono ancora saldamente nelle mani delle truppe di Kiev.

MA L’OFFENSIVA russa nel Donbass non si limita a Bakhmut. In questi giorni i reparti di Putin stanno lanciando violenti assalti anche nella direzione di Siversk – che oggi rappresenta l’ultima roccaforte nordorientale dello schieramento ucraino – e, soprattutto, di Chasiv Yar, a metà strada tra Bakhmut e Kostjantynivka. Se quest’ultima località dovesse cedere, la “fortezza inespugnabile” si troverebbe del tutto isolata, senza più vie di fuga né di approvvigionamento. E le conseguenze, a un anno esatto dall’inizio di questa guerra, sarebbero disastrose.