«Pare che questa sia la peggiore tragedia che abbiamo visto nel Mediterraneo» dice la commissaria Ue agli Affari interni Ylva Johansson parlando ieri a Bruxelles del naufragio di Pylos. «I trafficanti che mettono queste persone sulle navi non le stanno mandando verso l’Europa. Le stanno mandando a morire. Ed è assolutamente necessario prevenire che ciò accada».

Pesano sull’Unione europea i possibili 600 morti al largo della Grecia, tanto più che arrivano dopo le 94 vittime del naufragio avvenuto a Cutro il 26 febbraio scorso. Da allora, però, l’Europa si è guardata bene dall’intervenire per evitare che simili tragedie si ripetano, preferendo concentrarsi sul modo migliore per evitare le partenze dei barconi.

Le cose non sono cambiate neanche ieri, quando a Bruxelles si è riunito per la quarta volta il gruppo di contatto dei 27 sulle attività di ricerca e soccorso in mare. Nessuno si illuda: Bruxelles non ha nessuna intenzione di organizzare una nuova missione europea di salvataggio. Al massimo, e questo è stato lo scopo del vertice di ieri, si lavora per cercare regole comuni tra gli Stati su come e quando intervenire in mdo da evitare i ritardi e i rimpalli tra autorità competenti che si sono visti con gli ultimi due naufragi. L’incontro, ha spiegato il portavoce della Commissione, «serve anche ad avere gli imput dai tecnici dei paesi membri e su come arrivare a una strategia di coordinamento».

A partire da un punto fondamentale: intendersi sul significato di «situazione di pericolo», visto che fino a oggi ogni paese ha dato la sua interpretazione con la conseguenza di avere interventi diversi magari per una stessa emergenza, o addirittura nessun intervento. «C’è la necessità di un’interpretazione più precisa e comune a livello operativo», è scritto in un documento presentato ieri dalla Commissione.

Come sempre quando si parla di immigrazione, anche in questo caso però mancherebbe una linea comune tra gli Stati, alcuni dei quali riterrebbero troppo stretti i criteri ai quali la Commissione starebbe lavorando.

Il timore è che non si arrivi mai a stabilire dei criteri comuni che obblighino gli Stati a effettuare i soccorsi. Proprio come accade con i ricollocamenti di quanti ce la fanno ad arrivare in Europa. Che aria tra su questo punto del resto si è visto con l’accordo raggiunto di recente dai ministri dell’Interno Ue che prevede per gli Stati solo un sistema volontario per l’accoglienza dei migranti. Troppo anche questo, per il premier magiaro Viktor Orbán che ha parlato di accordo «inaccettabile» che «l’Ungheria non applicherà».