Conservate a Pisa presso il Fondo archivistico della Scuola Normale Superiore, «Critica marxista» pubblica due lettere inedite di Cesare Luporini e Pietro Ingrao.

La prima, di Luporini, datata 15 aprile 1991 da Firenze, a Ingrao: «cercherò di non affliggerti troppo con la lunghezza (in parte inevitabile) e di riuscire ad esprimermi per punti essenziali»; e la seconda di Ingrao, spedita da Roma il successivo 6 maggio: «come ti dissi ho atteso un po’ a risponderti, perché volevo riflettere sui punti che mi hai esposto».

I ‘punti’ (valutazioni di politica internazionale, la guerra e la pace: il 17 gennaio gli Usa hanno attaccato l’Iraq di Saddam Hussein; preoccupazione per il progetto ‘presidenzialista’ e le accelerazioni della crisi in Italia, ecc.) convergono, come scrive Luporini, su «la situazione maturata (diciamo così!) nella nostra ‘area’ dopo il 23 marzo».

Tra il 31 gennaio e il 4 febbraio 1991 si era tenuto a Rimini il ventesimo e ultimo congresso del Partito comunista italiano. Nasceranno allora il Partito democratico della sinistra e il Partito della rifondazione comunista.

Il 23 marzo la componente che si è denominata Area dei comunisti democratici tiene a Roma una assemblea aperta da una ampia relazione di Ingrao.

«Condivido moltissimo della descrizione generale che fai, specie internazionale, di alcuni nodi che individui, di alcuni spunti di proposte che dai, e soprattutto della altezza alla quale ti collochi» gli scrive Luporini, ma dichiara il suo disaccordo «con le conseguenze pratiche» che trae in quella relazione.

Ingrao, del Partito democratico della sinistra, aveva detto: «allo stato attuale delle cose, resto convinto che questo partito sia oggi un luogo cruciale per l’avvenire della sinistra italiana». A questo convincimento, Luporini dice, «scarsamente partecipo», così come, aggiunge, al «modo in cui da quelle considerazioni più generali ti cali nel concreto delle cose, e delle cose da fare, e soprattutto il modo che viene suggerito (se ho bene compreso) di stare – o rimanere – nella nuova formazione politica, modo che a mio parere, si collega anche a un’analisi insufficiente dello stato del partito dopo Rimini».

Così, nella relazione di Ingrao c’è una «ampiezza strategica», ma «non emerge una sufficientemente autonoma piattaforma politica, cioè una strategia da affermare subito e che sia subito mobilitante».

C’è la ‘lunga lena’, riconosce Luporini, ma non l’effettiva situazione del Pds e il muoversi ‘verticistico’ in essa dell’Area dei comunisti democratici, presa «nella negoziazione politica interna».

Concrete constatazioni e giudizi che consigliano Luporini a mettersi «in disparte rispetto alla vita di partito, pur continuando ad appoggiare i tentativi che ancora si volessero fare di larghi incontri a sinistra in cerchie politico-culturali ecc.».

Gli risponde Ingrao: «non mi sento di accettare molto la critica generale che tu fai alla mia relazione: e cioè che doveva andare più al concreto».

Ed ecco che nello scambio epistolare tra i due si accampa un ‘punto’ che si mostra centrale e dirimente: la questione del concreto e del subito.

Obiezione da molti e da tempo rivolta a Ingrao, ad investire non solo i suoi scritti nei loro presupposti ‘teorici’, ma le sue prese di posizione, le sue scelte, la sua identità di dirigente politico.

Consueta domanda, che si affaccia impellente in quanti ancora abbiano un interesse a interrogarsi sul ruolo rivestito da Ingrao nel Pci, e, latamente, nella vicenda e nella cultura politica italiana del secondo Novecento.

A quale idea di concretezza si è attenuto Ingrao, il comunista che ‘voleva la luna’?

In quella relazione del 23 marzo 1991, a Luporini dice di aver tentato di dare una motivazione dei processi tale da delineare nel concreto “le scelte che si presentano”.

Significativamente Ingrao ricorre qui ad un concetto – processo – che reputo assai importante per intendere il suo pensiero (e capire le scelte da lui operate): il concreto (e il subito) da evincere e praticare come processualità. Una questione (politica) che resta, ad oggi, aperta.