Il mare è lo stesso, lo Jonio. Don Francesco Savino, vicepresidente della Conferenza Episcopale Italiana, lo conosce bene. A centotrenta chilometri da Crotone, nella sua diocesi, quella di Cassano, vivono 12mila lavoratori migranti stagionali. Tra loro anche rifugiati, ex perseguitati, molti dei quali hanno trovato riparo e dignità nelle sedi della chiesa sibarita. La Calabria è un’immensa spiaggia cosparsa di naufraghi. Non solo carcasse di barche e corpi senza vita di donne e bambini si arenano sulle coste.

Relitti umani camminano invisibili lungo le sue strade interne, a volte investiti ed uccisi dalle auto pirata, come è accaduto proprio tre giorni fa ad un giovane 29enne egiziano, ospite del Centro Accoglienza Richiedenti Asilo di Isola Capo Rizzuto. Spesso i migranti si nascondono tra i rottami delle città e nelle contrade più impervie dell’entroterra. Sono fantasmi tra le masserie della Sibaritide, dove caporali e padroncini li trattano da servi della gleba. Prostitute nere, schiavizzate dalle ‘ndrine, appaiono e scompaiono nelle piazzole della SS 106 jonica.

Donne provenienti dall’est europeo e dal cuore dell’Africa si spezzano la schiena per pochi euro al giorno, raccogliendo cipolle tra Campora San Giovanni e Tropea, sul Tirreno. A centinaia vivono ammassati dentro le baraccopoli affiorate sotto i ponti di Crotone, sulle spiagge di Corigliano, nei campi tra Rosarno e Gioia Tauro. Sono tutti indignati gli operatori calabresi dell’accoglienza. Ci vuole un bel cinismo a giudicare la scelta disperata di affrontare un mare in tempesta, compiuta da madri e padri di famiglia in fuga da Iran, Siria, Afganistan e Pakistan. Le persone naufragate domenica scorsa a Steccato di Cutro arrivavano da questi inferni terreni.

Don Savino arriva a Crotone di buon mattino. Si reca al palasport, benedice le salme, visita i sopravvissuti e fatica a trattenere l’indignazione. «È l’ora del silenzio, della preghiera, del raccoglimento – spiega al manifesto il vescovo di Cassano allo Jonio -. Qui è naufragata l’umanità. Porto ai superstiti di questa ennesima tragedia la solidarietà di tutta la chiesa italiana. Ci sono mamme disperate. Hanno visto morire i propri bambini. Ho voluto stringere le loro mani. Dobbiamo però anche interrogarci su quanto è avvenuto, altrimenti rischiamo di diventare tutti complici. L’umanità ha perso. Ed è sconfitta anche la ragione. Le vittime sono persone che potevano essere aiutate ed accolte. La Calabria sta dimostrando di essere solidale, accogliente, ospitale. Ma nelle sfere del potere ci sono pregiudizi ideologici che impediscono una reale accoglienza. C’è tanta, troppa demagogia, in chi addita il fenomeno migratorio come un fattore di squilibrio. Gli italiani che vanno all’estero sono molti di più dei migranti che arrivano».

Sin dal principio, Savino non ha esitato a dichiarare che questa tragedia è anche conseguenza del decreto emanato dal governo per limitare le capacità di soccorso delle Ong. «Ci sono delle responsabilità politiche, prima di tutto dell’Europa – prosegue il prelato che Papa Francesco ha incaricato di portare la sua parola di pace dall’Ucraina bombardata alla Calabria tormentata dallo stato di guerra permanente alla mafia – . Siamo tutti in attesa che l’Ue batta un colpo, che agisca concretamente. Non è il momento delle passerelle. Questa tragedia è stata causata anche dall’accordo scellerato col turco Erdogan, che costringe migliaia di esseri umani a percorrere in condizioni impossibili la rotta tra Calabria e Turchia. I miliardi elargiti per fermare i flussi migratori avrebbero potuto essere investiti nelle regioni da cui queste persone provengono, migliorando le loro condizioni di vita. Troppo facile dire adesso, come fatto da alcune autorità, che questi esseri umani non sarebbero dovuti partire. I fatti dimostrano che gli accordi europei con Turchia e Libia non solo non costituiscono un argine verso i flussi migratori, ma hanno creato trappole mortali».