Per far fronte alla ripresa della politica imperiale degli Stati uniti a Sud del Rio Bravo come forma di contenimento della Cina e della Russia, prende corpo nel Sud del continente americano una rinnovata forma di “latinoamericanismo”. Esponenti di punta di questa tendenza sono il brasiliano Ignacio Lula da Silva e il presidente messicano Andrés Manuel López Obrador (Amlo). Entrambi sono consapevoli che la prima linea di contenimento degli Usa nei confronti di Cina e Russia si situa in Ucraina e nella regione Pacifico-Oceano Indiano. Ma con una “metastasi” nell’America latina. Dove per il presidente Biden – come prima era per Donald Trump – «la dottrina Monroe assume oggi la stessa valenza di quando fu espressa» (nel 1823) per tenere sotto controllo il loro backyard.

SIA LULA, SIA AMLO AUSPICANO con urgenza una maggiore integrazione del subcontinente latino come principale forma per dare forza alle sovranità regionali. Il primo, sabato 7 maggio quando ha confermato la sua candidatura per le presidenziali brasiliane del prossimo ottobre, ha proposto la creazione di una moneta unica per il subcontinente e il rafforzamento delle esistenti organizzazioni di integrazione economico-politica – Celac, Mercosur soprattutto – oltre a nuove forme di governance proprie di un mondo multipolare. Il presidente messicano, nel corso della sua visita a l’Avana la scorsa domenica, ha proposto una unione dell’America latina che si ispiri all’Unione europea e si accompagni all’eliminazione dell’Organizzazione degli stati americani (Osa) da lui definita «un’organizzazione lacché degli Usa».

SI TRATTA DI PROPOSTE più pragmatiche rispetto al progetto bolivariano di Hugo Chávez all’inizio del secolo, che comportava un chiaro progetto socialista. Proposte che tengono conto sia della sconfitta politica subita dopo il 2015 dai governi progressisti della cosidetta marea rosa – dal Salvador, all’Argentina, passando per Nicaragua, Ecuador, Brasile, Bolivia, Uruguay e Paraguay – che si affiancavano ai governi più radicali di Cuba e Venezuela. Sia della costatazione che le politiche di quei governi progressisti di miglior distribuzione dei redditi e dell’allargamento delle forme democratiche, ma senza cambiare, o anche intaccare seriamente, l’estrattivismo (e il suo impatto sociale e di genere) non sono servite a «mettere fine al neoliberismo» in America latina.

In base al rilancio di una politica integratrice del subcontinente, il presidente messicano ha annunciato che non parteciperà al Vertice delle Americhe in giugno a Los Angeles per protesta contro l’esclusione di Cuba, Venezuela e Nicaragua pretesa dalla Casa bianca. Così farà anche il presidente boliviano Luis Arce per le medesime ragioni e quasi certamente sarà assente il premier di Antigua y Barbuda, Gaston Browne.

AMLO HA AVVERTITO anche che gli Stati uniti sono tentati «dall’uso della carta militare» per evitare che la Cina diventi il maggior partner commerciale del Sudamerica. Prospettiva evocata dalla generalessa Laura Richardson, comandante del Comando sud degli Usa – gli «occhi militari degli Stati uniti sull’America latina» – nella sua recente visita nel Cono sur, Argentina e Cile. Paesi che, assieme al Brasile, hanno subito sanguinosi e prolungati golpe e governi militari dittatoriali.

La generalessa a quattro stelle dovrebbe rappresentare il volto nuovo, a misura di Biden: prima donna a ottenere un alto comando, capelli castani chiari che le incorniciano il volto, pronta al sorriso di fronte alle telecamere. Nella sua missione ha incontrato, oltre i vertici militari, la vicepresidente argentina Cristina Fernández e Mayra Fernández Allende, ministra della Difesa cilena. Con entrambe ha giocato due carte. Una , di genere (l’importanza delle donne nel mantenimento della pace ecc.), l’altra di rafforzare la presa sul subcontinente attraverso il rafforzamento dell’alleanza con i militari locali mediante vendita di armamenti, formazione in Texas e Florida di quadri militari alle nuove tecnologie, integrazione di intelligence, consiglieri – o basi – militari.

PROBABILMENTE SI VEDRÀ nelle elezioni di fine maggio in Colombia e in quelle in Brasile fino a dove Casa bianca e Pentagono vogliono spingersi.

Riguardo all’integrazione regionale dell’America del sud, l’Unione europea, se riesce o vuole avere un ruolo autonomo rispetto agli Usa, può giocare una forte carta, la ratificazione dell’accordo di libero scambio siglato nel 2019 col Mercosur (integrazione regionale tra Brasile, Argentina, Uruguay, Paraguay e Venezuela, ma con Bolivia, Ecuador, Cile, Perù, Colombia, Suriname e Guyana associati).