Scontato successo del referendum volto a realizzare un ulteriore rafforzamento del regime di Aleksandr Lukashenko e all’abbandono dello status «non nucleare» della Bielorussia.

Secondo i dati ufficiali di Minsk, il 27 febbraio il 65% degli elettori ha approvato le modifiche costituzionali. Queste stabiliscono un limite di due mandati quinquenniali per la presidenza, tuttavia, le restrizioni si applicherebbero solo in futuro così che Lukashenko, al potere dal 1994, potrebbe assicurarsi un ulteriore mandato e governare fino all’età di 81 anni. Inoltre, le modifiche prevedono l’immunità a vita di “Batka” dopo un suo eventuale ritiro dalla politica.

La parte geopolitica del referendum completa la messa sotto chiave dello spazio bielorusso da parte di Mosca, consentendole lo stazionamento permanentemente del proprio dispositivo militare ai confini con la Polonia, in primo luogo delle armi nucleari, un ulteriore passo verso lo spettro di un conflitto nucleare nel continente.

LA CHIAMATA ALLE URNE ha permesso all’opposizione bielorussa di riprendere l’iniziativa, sfruttando questa volta le profonde lacerazioni che la guerra crea in tutte le società ex-sovietiche, particolarmente acute per il popolo culturalmente più vicino sia a quello russo che a quello ucraino.

Sullo sfondo dell’Ucraina sotto attacco anche dal territorio nazionale, l’oggetto del referendum è passato in secondo piano. Molti si sono uniti all’opposizione nel dire no al sostegno apportato da Lukashenko alla guerra di Putin e alla presenza e al transito delle truppe russe in Bielorussia dopo le esercitazioni congiunte che Mosca ha utilizzato per preparare l’invasione.

Complice nella mobilitazione anti-Lukashenko, voci diffuse per via telematica riguardo una possibile chiamata alle armi per sostenere lo sforzo bellico russo, una probabile mossa di un’opposizione forte delle sue basi in Lituania e Polonia, la quale ha sortito il suo effetto. La reazione del governo è stata come d’abitudine muscolare: diverse fonti riportano di quasi 800 persone detenute dalla polizia negli ultimi due giorni.

ALLO STESSO TEMPO, la crisi ha restituito a Lukashenko un’importanza politica internazionale che il leader bielorusso aveva perso dopo i disordini per i brogli alle elezioni del 2020 e la conseguente rottura con gli europei.

Fino ad allora Minsk aveva seguito una linea diplomatica multivettoriale e fornito una piattaforma per i negoziati fra Mosca e Kiev. Questa linea si è interrotta in seguito al sostegno di Zelensky al tentativo di cambio di regime contro Lukashenko che lo ha lasciato più dipendente che mai dal sostegno di Putin.

ORA ZELENSKY si trova invece a dipendere dai buoni uffici del suo collega bielorusso, nella speranza che questi possa indurre Putin a più miti consigli. Anche dal lato europeo, dove pure si tende ad includere Minsk nei nuovi pacchetti di sanzioni anti-russe, Lukashenko non è più così infrequentabile (come dimostra una telefonata ricevuta da Emanuel Macron), almeno fino a quando le bombe continueranno a cadere sull’Ucraina.