Nella capitale ugandese le radio sono sempre accese, per le strade imperversa il vociare degli speakers, la musica rap, reggae, pop arriva dai negozi, dai centri commerciali, dalle auto di cui questa città eccede. Di facile accesso – basta avere uno smartphone – la radio è uno dei mezzi di comunicazione più diffuso in Uganda e spesso il dibattito politico passa da lì, oltre che dai social media. Per questo una hit come We are fighting for freedom di Bobi Wine è diventata molto più di una semplice canzone di protesta, ma un  vero e proprio inno. L’inno dei giovani che si riconoscono nel  movimento #PeoplePower.

 

LEADER DI QUESTO MOVIMENTO è lo stesso Robert Kyagulanyi, alias Bobi Wine, rapper e politico ugandese che ha fatto molto parlare di sé, soprattutto negli ultimi mesi. Costretto a rifugiarsi negli Stati uniti per ricevere cure mediche a seguito delle violenze subite in patria da parte dei militari, il cantante ha riportato l’attenzione internazionale sulla costante violazione dei diritti umani in Uganda, dovuta a una leadership politica, quella di Yoweri Museveni, che non dà voce all’opposizione.

Cantante afroreggae e rapper, basco rosso d’ordinanza e pugno chiuso ostentato in ogni occasione, Bobi Wine dal 2016 è anche un parlamentare. Mentre Museveni arruolava molti dei suoi colleghi per una canzone-spot, lui si candidava da indipendente a Kyadondo East, collegio di Kampala, battendo sia i candidati del National resistance movement (Nrm), il partito di governo, sia quelli del Forum for democratic change, all’opposizione. Lo scorso agosto è stato arrestato in relazione a una sassaiola che ha colpito il corteo presidenziale (nello stesso frangente il suo autista è stato ucciso). Al rilascio con i suoi avvocati ha denunciato di aver subito pesanti intimidazioni e torture da parte dei militari che lo hanno interrogato.

Sono numerosi gli arresti arbitrari, come accaduto anche alla giovane popstar, con l’accusa di tradimento. È il caso di Kizza Besigye, del Forum for democratic change, storico leader dell’opposizione che è stato minacciato, torturato e condotto più volte davanti alla corte militare. Così come l’attivista Stella Nyanzi, tutt’ora detenuta per aver scritto un post di facebook ritenuto offensivo nei confronti di Museveni e della sua defunta madre.

Come la radio – che con il fenomeno della liberalizzazione del broadcasting ha conquistato una sua autonomia (nonostante le censure siano ancora frequenti) – anche i social media spaventano i piani alti della politica. Hanno giocato un ruolo fondamentale nel rilascio di Robert Kyagulanyi: l’hashtag #FreeBobiWine ha fatto il giro del mondo trovando il sostegno di numerosi artisti internazionali, come Chris Martin e Damon Albarn. Sempre l’attenzione internazionale ha reso possibile il ritorno in patria del cantante, il 20 settembre scorso. Esattamente un mese dopo era già sul palco, a Kampala.

NON STUPISCE allora la tassa giornaliera di 200 scellini (circa 0,50 euro) imposta dal parlamento sull’utilizzo dei social network, che si è resa necessaria – secondo il presidente – per «far fronte alle conseguenze del gossip». D’altronde lui stesso era arrivato a bloccarne completamente l’utilizzo durante le elezioni del 2016 per «fermare la diffusione di menzogne».

 

Yoweri Museveni

 

Tali limitazioni alla libertà di espressione nascondono il tentativo di porre freno a un’energia giovanile che sta lavorando alla dissoluzione del sistema che Museveni credeva ben consolidato, specie dopo la vittoria parlamentare del 27 dicembre 2017. In quell’occasione il parlamento votò l’abolizione del limite di 75 anni di età per concorrere alla carica di presidente, che gli avrebbe impedito di ripresentarsi alle elezioni del 2021. Al potere da 32 anni, il 74enne leader ugandese ha rafforzato il suo potere proponendosi come unico modello di stabilità. Egli ha garantito da un lato, ai suoi connazionali, pace e crescita economica dopo una guerra civile molto violenta – negli anni ’80 – terminata con la caduta del regime di Idi Amin. Contemporaneamente ha attirato il favore delle potenze occidentali per la disponibilità a sostenere “missioni di pace” (come quella in Somalia) e ad accogliere gli sfollati dei paesi limitrofi (sono tutt’ora più di un milione i profughi degli insediamenti ugandesi).

MA SE SUL PIANO INTERNAZIONALE Museveni è ancora l’ago della bilancia di una regione instabile come l’Africa orientale, all’interno deve fare i conti con quei giovani che non hanno conosciuto la guerra civile e non comprendono un linguaggio politico costantemente rivolto al passato. Sono tanti – in Uganda circa un terzo della popolazione ha meno di 35 anni – e si trovano ad affrontare l’aumento della disoccupazione giovanile.
Molti di loro vedono un portavoce proprio in Bobi Wine. Che viene da Kamwokya, uno slum di Kampala, e dopo un passato di droga e criminalità – grazie alla musica – è riuscito ad arricchirsi. Questa stessa musica diventa ora lo strumento per avanzare le rivendicazioni di chi vuole uscire dalla miseria.

DA UN BAR DI ENTEBBE vediamo passare l’auto presidenziale, circondata da militari. Siamo con il giornalista e scrittore David Kaiza, uno dei massimi esponenti dell’urban culture ugandese. Quando gli chiediamo se prevede un’imminente trasformazione sul fronte politico ci risponde che le cose stanno già cambiando e nel profondo. «La musica è fondamentale per il popolo africano, è il principale veicolo che ha tramandato le nostre usanze, la nostra spiritualità, anche nel momenti bui della colonizzazione. Oggi è a lei che dobbiamo la diffusione di idee e lo sviluppo di un dibattito pubblico».

 

Supporter di Bobi Wine manifestano contro il suo arresto (Afp)

 

Bobi Wine è sicuramente un personaggio controverso, sono in molti a insistere sul fatto che dietro alla veste di leader del popolo costruita anche grazie a un abile uso di twitter, non vi sia una personalità politica competente. Lasciano inoltre perplesse alcuni passaggi omofobi presenti nelle sue canzoni, che gli sono costati l’annullamento di un concerto a Londra su pressione di attivisti Lgbt inglesi. Tuttavia, come sottolinea Kaiza, ha il merito di aver organizzato un movimento giovanile che non è più disposto a sottostare a certi soprusi.

UN’ALTRA CARATTERISTICA fondamentale per capire il #PeoplePower è il suo respiro panafricano: «Continueremo a incontrare i giovani leader africani per la liberazione non solo dell’Uganda ma di tutta l’Africa» twitta Bobi Wine. Infatti Museveni non è l’unico presidente africano ad avere trovato il modo di restare in carica oltre i limiti consentiti dalla legge e a reprimere ogni libertà di espressione.