Nella zona a più alta densità mafiosa d’Italia, l’accanimento ossessivo contro Mimmo Lucano e contro il “modello Riace”, ormai, non conosce più limiti. Con un timing svizzero all’indomani del rinvio a giudizio di giovedì per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e abuso d’ufficio, ieri gli uffici della magistratura inquirente locrese hanno notificato al sindaco sospeso di Riace l’avviso di conclusione indagini che tecnicamente equivale, con ogni probabilità, a una (ennesima) richiesta di rinvio a giudizio.

Nove i capi d’accusa, contestati e messi nero su bianco dal pm Enzo Argadi, tutti per il reato di truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche. Lucano è indagato a vario titolo in concorso perché, nella qualità di sindaco e, al contempo, di responsabile dell’unità operativa ufficio amministrativo del comune di Riace, avrebbe indotto in errore il ministero dell’Interno e la prefettura di Reggio Calabria, predisponendo una falsa attestazione in cui veniva dichiarato che le strutture di accoglienza per ospitare i migranti esistenti nel territorio del comune di Riace erano rispondenti e conformi alle normative vigenti in materia di idoneità abitativa, impiantistica e condizioni igieniche. «Laddove così in effetti non era», è l’ipotesi accusatoria della procura, in quanto i vari immobili risulterebbero in alcuni casi privi di collaudo statico e certificato di abitabilità, e in altri casi privi del solo certificato di abitabilità. «Documenti indispensabili» per come richiesto sia dal manuale operativo Sprar che dalle convenzioni stipulate tra il comune di Riace e la prefettura. «Dovendosi rilevare, altresì – calca la mano la Procura – la mancanza in capo a Lucano di qualunque competenza riconosciuta dall’ordinamento circa il giudizio relativo ai requisiti tecnici che dovevano possedere gli immobili».

Oltre a Lucano, gli indagati sono l’amministratore della cooperativa “Girasole” e i privati proprietari degli appartamenti utilizzati per l’accoglienza. Insomma, è la solita persecuzione verso chi, per puro spirito di umanità, cerca e cercava di dare un tetto ai migranti prima che questi finissero in mezzo a una strada o, peggio ancora, nella trappola mortale della baraccopoli di San Ferdinando. D’altronde, la Cassazione lo ha scritto testualmente. Lucano non si è mai appropriato di soldi indebitamente, non ha commesso ruberie, né malversazioni. Quel che la procura di Locri, invece, contesta è appunto il reato di umanità.

Intanto, come se non bastasse, per un anno ancora, il sindaco sospeso non potrà fare rientro nella sua Riace, a causa del divieto di dimora disposto a suo carico dal Tribunale della libertà di Reggio. È uno degli effetti determinati dal rinvio a giudizio deciso giovedì. Il Tribunale della libertà di Reggio, nel disporre la revoca dell’ordinanza di custodia cautelare emessa dal Gip di Locri, Domenico di Croce, nei confronti di Lucano, emise a suo carico il divieto di dimora per sei mesi a Riace, impedendogli così di continuare a risiedere nel centro della Locride. Periodo che adesso viene prolungato ad un anno per effetto del provvedimento di rinvio a giudizio. Lo stesso tribunale del

Riesame reggino, comunque, dovrà pronunciarsi nuovamente sul divieto di dimora a carico di Lucano dopo il recente annullamento con rinvio dell’ordinanza da parte della Suprema corte.
Intanto, tra due settimane scadono i termini per la presentazione delle liste per le comunali del 26 maggio. A Lucano, che, pur non potendosi candidare a sindaco per il vincolo del quarto mandato, aveva intenzione di presentarsi come candidato consigliere, viene di fatto impedito di fare campagna elettorale. L’obiettivo è stato raggiunto. La Lega, chiesto e ottenuto lo scalpo del sindaco, ora è pronta a prendersi Riace.