Il film lo aveva già in mente da qualche anno, poi c’erano state delle difficoltà produttive – «alcune istituzioni mi dicevano, “ma perché vuoi farlo?” sono passati ottant’anni dalla seconda guerra mondiale, sappiamo già tutto quanto» dice Sergei Loznitsa. E così mentre The Natural History of destruction prendeva forma è iniziata l’invasione russa in Ucraina: «Appena abbiamo visto le immagini in televisione dei bombardamenti sulle città ucraine ci è apparso subito evidente che quel principio di trasformare i cittadini in target utilizzato ottant’anni fa sia sempre attuale» commenta il regista, l’aria stanca per le molte interviste, una barba nuova a coprirgli il volto. Ucraino, nato nel 1964, cresciuto nel sistema sovietico indaga film dopo film la storia del XX secolo e le sue ripercussioni nel presente – da film come Austelitz (2016) o Babi Yar. Contexte (2021) – e insieme quella della ex-Unione sovietica e della sua fine – Donbass (2018), in cui racconta la guerra invisibile in Ucraina dal 2014 o Maidan (2014). Lo incontriamo al Festival.

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«The Natural History of Destruction» parte dal libro omonimo di W.G. Sebald, la cui scrittura era già all’origine di «Austerlitz». Cosa l’ha interessata in questo testo?

Ciò che sta accadendo in Ucraina dall’inizio della guerra ci riporta ancora una volta alle situazioni che si sono verificate nel secondo conflitto mondiale. È incredibile come non siamo riusciti a trovare un modo per difenderci da tali violenze e dalle devastazioni di cui siamo oggi nuovamente testimoni. Per citare Faulkner, «il passato non è mai morto, anzi non è nemmeno passato». Il libro di Sebald è stato pubblicato nel 1999, fa riferimento alla società tedesca post-bellica che a suo avviso si era ricostruita su un’amnesia. E analizzando la campagna dei bombardamenti alleati sulle città della Germania mette in luce il silenzio nella cultura e nella letteratura tedesche su questo trauma senza precedenti. Quando uscì accese un grande dibattito, nonostante fossero già passati cinquantacinque anni dalla materia che trattava e che evidentemente era ancora un tabù. Uno dei saggi solleva una questione molto importante e cioè: è moralmente accettabile trasformare i civili in target durante la guerra? Era il punto che mi interessava e su cui ho lavorato perché rimane ancora senza risposta. Guardando quelle immagini possiamo formulare due ipotesi, la prima è che la gente era responsabile e se lo meritava, la seconda che invece è stato commesso un crimine contro l’umanità, contro dei cittadini inermi. Se ammettiamo quest’ultima ipotesi dobbiamo confrontarci con le conseguenze che provoca. Possono rimproverarmi che non capisco quell’epoca perché la osservo da un punto di vista contemporaneo, e però quando vedo in quegli archivi i corpi senza vita di bambini, donne, anziani, uomini estratti dalle macerie mi appare chiaro che tutto questo è divenuto un metodo che regola le strategie belliche. Oggi è l’Ucraina, prima era la Siria e il mondo intero sembrava disinteressarsene. Credo che invece questa idea di una «distruzione di massa» deve essere analizzata, studiata, discussa e non soltanto dai politici, tutti devono assumersene le responsabilità.

Il suo cinema lavora sui conflitti, sulla storia e sui legami che la intrecciano al presente, questo film è anche – almeno per me – un forte messaggio anti-bellico. Per le sue posizioni contro il boicottaggio degli artisti russi però è stato molto attaccato in Ucraina e messo al bando dall’Unione dei registi ucraini, mentre si è dimesso dall’Efa, l’Accademia del cinema europeo a cui rimproverava di non avere preso posizioni più nette sull’invasione russa.

Come regista il mio dovere è riflettere sui problemi del mondo intero, e non solo sull’Ucraina. Ciò che penso, le mie scelte riguardano però solo me, non parlo a nome del mio Paese, per quello c’è il nostro presidente che sta facendo un grande lavoro, sono totalmente d’accordo con lui. Adesso mi piacerebbe girare una commedia ma forse è il momento sbagliato! Sulla questione del boicottaggio sono finito in mezzo a un fuoco incrociato, da una parte i registi ucraini, dall’altra l’Efa che continua a essere molto poco attiva e anche sul boicottaggio dei film russi non è stata in grado di trovare delle risposte. La decisione del boicottaggio è molto stupida perché ci sono tanti artisti e intellettuali russi che criticano il regime di Putin e questa guerra. Molti hanno lasciato la Russia da tempo come Viktor Kossakowsy, che è un mio caro amico e vive a Berlino, isolarli è una forma di tradimento nei loro confronti. Nessuno ha il diritto di giudicare le persone né tanto meno di attribuire loro una patente da «vero» dissidente. Se penso che tra coloro che hanno votato per la mia espulsione c’è anche il mio co-produttore di Donbass mi viene da pensare a una forma di vendetta. Di certo non farò più parte di nessuna Academy, sono gruppi che rafforzano il potere di poche persone. Mi viene in mente Pasolini, era gay e comunista ma non poteva stare nel partito perché era omosessuale. Un artista però deve parlare apertamente della realtà che vive, e questo continuerò a farlo anche sui tanti amici russi che si sono schierati contro la guerra nonostante i rischi che corrono. L’Ucraina è sempre stato un Paese multiculturale.

È sorprendente però che i paesi europei abbiano accettato questo boicottaggio compresi molti eventi culturali.

Si, è sorprendente come lo è anche che in pochi esprimano una diversa opinione. In questa guerra c’è uno scontro tra passato e presente, prima che fra le nazionalità – ucraini e russi – tra un sistema sovietico, la Russia imperialista, e un paese democratico e indipendente come l’Ucraina che lotta per la sua libertà. È chiaro che non possono coesistere. Molti cittadini ucraini sono stati dislocati o deportati in Russia, ma se torniamo al passato in America i cittadini giapponesi durante la seconda guerra mondiale vennero rinchiusi nei campi. C’è sempre da imparare qualcosa dalla storia, che ci sorprende ogni volta.

Parlava di una senso di colpa e di responsabilità collettive. Può spiegarci meglio?

Facevo riferimento alla riflessione di Karl Jasper sulla Germania del dopoguerra, parla della «colpa collettiva» come un fenomeno metafisico, che deve essere assunto da chi è davvero responsabile delle sue azioni e non imposto dall’esterno. Oggi però c’è stato un capovolgimento di questo pensiero e all’improvviso ogni cittadino russo è diventato «colpevole» delle atrocità commesse dall’esercito russo in Ucraina. Ora io credo che ogni cittadino russo dovrebbe assumersi le proprie responsabilità rispetto alle azioni del governo ma sta a loro affrontare questa cosa e per i crimini di guerra ci saranno i tribunali internazionali. La Russia ha partecipato per cinque anni alla guerra in Siria senza che ci fosse stata una grande mobilitazione da parte della comunità internazionale, eppure erano le stesse bombe che oggi cadono sull’Ucraina.

Da dove vengono i materiali utilizzati nel film?

In gran parte dagli archivi tedeschi, britannici, americani e da Pathè. Gli Alleati hanno filmato molto dall’alto, ci sono immagini a colori molto belle. Entrambi, tedeschi e alleati utilizzavano le immagini per la propaganda, quelle tedesche sono più classiche e cercano di creare un maggiore senso drammatico.

Pensa di lavorare su questo conflitto in corso?

Sì, vorrei fare un film sull’investigazione dei crimini di guerra commessi in Ucraina, andrò li per realizzarlo.