«Talebani, perché non riunite 3.500 afghani e chiedete loro cosa vogliono? Il popolo ci chiede pace. Significa investire sui punti comini, non sulle differenze». È un Ashraf Ghani particolarmente ispirato quello che si rivolge al pubblico nel discorso di chiusura della Loya Jirga, la grande assemblea consultiva terminata ieri a Kabul. Dopo 4 giorni di discussioni, ieri mattina i circa 3.200 delegati della Loya Jirga riuniti al Politecnico di Kabul hanno reso nota una lista di 23 raccomandazioni.

AL PRIMO PUNTO c’è la richiesta al governo e ai Talebani di un cessate il fuoco immediato, a partire da lunedì, con l’inizio del Ramadan. Ma c’è anche l’invito a uno scambio di prigionieri, all’apertura di un ufficio politico dei barbuti in Afghanistan, al ritiro delle truppe straniere «in modo ordinato», al consenso interno, al rispetto dei diritti umani, alla riforma dell’Alto consiglio di pace, l’organo che dovrebbe negoziare con i Talebani.

Il presidente Ghani, che molto ha investito nel processo di pace e sulla Loya Jirga, incassa un successo innegabile. Le raccomandazioni dei delegati sembrano essergli state cucite addosso. Molti punti sono uguali a quelli da lui invocati. Così sul podio non perde l’occasione e si rivolge a pubblici diversi. Ai delegati e alle delegate in sala; ai milioni di afghani che lo ascoltano alla radio o in tv; ai politici che hanno cercato di boicottare la Loya Jirga, criticandola come operazione personale in vista delle presidenziali di settembre; agli americani, che lo hanno messo all’angolo. E poi a principali antagonisti, i Talebani.

A TUTTI MANDA A DIRE che il presidente è lui, un presidente legittimo, perché in linea con le esigenze e i desideri della società. Ai Talebani invece si rivolge con un doppio registro. Li sfida a dimostrare di rappresentare veramente – come sostiene di fare lui – il Paese. Ma poi gli srotola un tappeto rosso, con una serie di offerte. Innanzitutto, un cessate il fuoco, questa volta condizionato, non come nel 2018 quando era comunque riuscito a portare a casa 3 giorni di tregua, dal 15 al 17 giugno. Poi il rilascio di 175 detenuti talebani, come segno di buona volontà in occasione del Ramadan. «Organizzate una delegazione e venite a prenderli voi stessi, dovunque nel Paese». Infine la possibilità di aprire «un ufficio politico in Afghanistan». Come a dire, questa è casa vostra.

GHANI INSISTE MOLTO sulla necessità di «afghanizzare» il processo di pace. È una necessità, perché il governo è escluso dai negoziati in corso tra Talebani e americani, contestuali a una serie di incontri tra gli attori regionali. Ma è anche la legittima richiesta di parlarsi tra concittadini, tagliando fuori quanto possibile gli attori esterni. Ghani cita il Pakistan, il cui establishment militare è accusato di sostenere i Talebani.

«Mi appello al Pakistan affinché fughi tutti i dubbi, dimostrando che anche in Asia si possono risolvere i problemi parlando, nel rispetto reciproco». Prima di lasciare il podio, lancia un «zindabad Afghanistan», «lunga vita all’Afghanistan», alzando le braccia trionfante. Potrebbe presto accorgersi che la vittoria è effimera.

Perché «la palla ora è nel campo dei Talebani», ricorda alla fine della Loya Jirga Omar Daudzai, già ministro dell’Interno e principale organizzatore dell’assemblea. E i Talebani per ora sembrano tirare dritto. Per loro, la Loya Jirga è illegittima come il governo che l’ha indetta.

E prima di ogni altra cosa chiedono date certe per il ritiro delle truppe straniere, uno dei punti su cui in queste ore stanno discutendo a Doha con l’inviato di Trump, Zalmay Khalilzad.