L’alternanza scuola lavoro al tempo in cui il lavoro è in crisi e, in effetti, pure la scuola non se la passa tanto bene, mutilata com’è dalla pandemia. Le due quinte classi dell’istituto tecnico Cuppari di Jesi sono andate a lezione davanti ai cancelli della Caterpillar, dove tra poco più di un mese 270 operai rischiano di essere licenziati perché i vertici dell’azienda ritengono più conveniente spostare la produzione altrove. È così che il professore di diritto ed economia Ero Giuliodori ha accompagnato quaranta tra ragazze e ragazzi a incontrare gli operai e i sindacalisti, a imparare come funzionano davvero le cose che studiano tutto l’anno. Lotta di classe, letteralmente.

«I NOSTRI STUDENTI fanno molti stage – spiega Giuliodori -, e forse di questi tempi l’idea della fabbrica è sin troppo edulcorata. È importante che i ragazzi capiscano che il lavoro è il frutto delle lotte e dell’impegno e che, più in generale, in situazioni come questa parliamo di diritti collettivi, che non sono astratti ma estremamente concreti, per così dire».

Le «situazioni come questa» sono un grande triste classico degli ultimi tempi: un bel giorno, di punto in bianco, un dirigente d’azienda arriva e comunica ai lavoratori che non servono più, che il loro valore si può misurare con il risparmio – conti alla mano, qui, più o meno del 20% – sul costo di produzione di un singolo cilindro per macchine movimento terra, le ruspe, i bulldozer, gli escavatori. Che si fa quando succede una cosa del genere? Si può solo lottare. «Perché questa fabbrica, che ora si chiama Caterpillar ma che prima era la Sima, qui è un’istituzione – prosegue il professor Giuliodori -, esiste dagli anni ‘20, ha fatto crescere Jesi ed è stata motore di tante battaglie già ai tempi del fascismo e poi anche dopo. Mio padre era segretario della Camera del lavoro a Jesi, non posso restare indifferente: il modo con cui hanno trattato questi lavoratori è indegno di un paese civile».

Quando il 10 dicembre scorso i sindacati hanno incontrato il direttore Jean Mathieu Chatain si aspettavano di parlare di stabilizzazione dei precari, e invece non hanno potuto nemmeno replicare quando si sono sentiti dire che era finita. Caterpillar saluta e se ne va. Ultima presa in giro: agli operai è stata regalata una felpa celebrativa dei 25 anni di attività dello stabilimento.

«QUESTA MATTINATA ci ha fatto aprire gli occhi – racconta Sergio Grilli, classe 2003, studente della 5^ A -, abbiamo capito che questa battaglia è anche nostra. Anzi, è soprattutto nostra: non sono soltanto le famiglie dei 270 operai a essere coinvolte, ci siamo anche noi che ci prepariamo ad affrontare un mondo del genere».

Un mondo, cioè, in cui Jesi è stata «la piccola Milano» per decenni, quando i sogni della buona borghesia si potevano toccare, dove la gente che conta si è davvero fatta da sola, al contrario di Fabriano, dove regna la casata Merloni che tutto fa e tutto dispone, e al contrario pure di Ascoli Piceno, dove le fabbriche sono arrivate soltanto grazie ai soldi della Cassa del Mezzogiorno. Jesi no, niente di tutto questo: il successo, dicono, è tutto frutto del sudore della fronte e di un estro ben rappresentato dagli eroi locali Roberto Mancini e Valentina Vezzali.

LA CRISI PERÒ non si è risparmiata neanche da queste parti. Caterpillar, quando ancora si chiamava Sima, ha rischiato un paio di volte di chiudere tra gli anni ‘70 e gli anni ‘80. In entrambi i casi, però, la città ha lottato insieme agli operai. Adesso la situazione è identica: il presidio dei lavoratori riceve visite ogni giorno, quella degli studenti del Cuppari è solo l’ultima in ordine di tempo. E se la partita ormai si gioca quasi solo sui tavolo istituzionali, la lotta non viene per niente trascurata. Sciopero dopo sciopero, corteo dopo corteo. E, perché no, pure lezione dopo lezione.

IL COMBATTIVO RSU Donato Acampora ha tenuto banco durante la lezione. «Non so cosa vi aspetta nel futuro – ha detto agli studenti -, ma il lavoro non è solo portare la pagnotta a casa, ma è pure essere una comunità, come voi a scuola. Vi auguro di fare grandi cose, se diverrete dei manager non siate come quelli che arrivano davanti a un’azienda e dicono al megafono che gli operai sono tanto bravi ma che comunque la fabbrica verrà chiusa».

Essere una comunità: a scuola, in fabbrica, in paese. «Quello che sta accadendo è grave – conclude il giovane Sergio -, chiudere la Caterpillar vuol dire far perdere di valore a tutta la nostra città».

QUANDO LA SIMA ha rischiato di morire, è sopravvissuta perché a Jesi non si parlava d’altro, era il centro di ogni discorso, l’orizzonte di ogni evento. Non è soltanto una questione di costruire cilindri e pistoni per una multinazionale americana o per un altro padrone qualsiasi. Casomai è farlo insieme, pezzo su pezzo, per i diritti conquistati e da difendere e per diritti ancora da conquistare. La lezione è tutta qui.