Il mare d’inverno è la nostalgia della bellezza. Di ciò che abbiamo lasciato alle spalle e ci confonde tra angoscia e tenerezza. Alla fine, però, è tutto bello ciò che abbiamo superato. E poi c’è la nostalgia del futuro, che a volte è così forte, atroce e dolce insieme che è l’unica ragione che ci resta per vivere. Ieri è stato l’ultimo giorno di un Sanremo annegato nella pioggia e nello stress. Come sempre. Ma il sole a un certo punto ha iniziato a spingere: l’universo è in sintonia con il tempo di Bertè, è questo l’anno in cui è diventata una signora senza perdere neppure una briciola di rock. Bertè splende, sorride, ringrazia, si commuove, abbraccia, omaggia chi non ha mancato mai di sfiorarla con un sorriso, un incoraggiamento. Bertè è dolce perché ha battagliato fino a a essere Pazza e felice, senza alcuna discontinuità. E amata. Molto.Vedo con dispiacere che alcune conquiste che credevamo consolidate oggi sono messe in discussione

«PAZZA è la canzone giusta per questo palco. Volevo che arrivasse a tutti ed è successo, è la magia che accade con certi brani. Pazza è per tutti i folli liberi di essere se stessi. Follia per me fa rima con libertà». I progetti sono tanti, finito il carrozzone ricomincerà con The Voice e a marzo torna in tour, «il palco è la mia valvola di sfogo. Non vedo l’ora di riabbracciare tutto il mio pubblico che non mi ha mai abbandonato». Il 2024 è cruciale per l’artista, sono cinque decenni che naviga tra le onde e i venti della scena musicale. Giovedì è uscita  per Warner Ribelle, un’importante raccolta in digitale, 3 cd e 2 lp. Un’antologia di 57 brani tra cui anche il  pezzo sanremese. È come ha detto lei: prima pazza e poi santa, capita a tante ma solo a poche di uscirne regine come Loredana, «i pregiudizi si cavalcano essendo se stessi e non cedendo a quello che gli altri vogliono imporci. Non c’è una ricetta che vale per tutti. Alle donne consiglio di amarsi anche quando non si sentono perfette, perché nessuno lo è». E quante sono le donne che, in questi giorni, hanno fatto di Pazza un manifesto esistenziale, di riscatto, anche politico. Da quel sacrosanto «amarmi non è facile, purtroppo io mi conosco…», a: «Io sono pazza di me, di me. E voglio gridarlo ancora. Non ho bisogno di chi mi perdona io, faccio da sola, da sola. E sono pazza di me. Sì perché mi sono odiata abbastanza. Prima ti dicono basta sei pazza e poi. Poi ti fanno santa».

AGLI ARTISTI tocca farsi portatori di ciò che loro vedono e noi no, di ciò che loro provano, di cui si trafiggono e poi trasformano in qualcosa che possiamo sfiorare con le mani, pronunciare con le labbra. Il femminismo è una delle cifre della canzone: «Vedo con dispiacere che alcune conquiste che credevamo consolidate oggi sono messe in discussione. Sono sempre la ragazza che s’incazza. E questo dobbiamo fare, tenere alta l’attenzione». E resta la ragazza che non perde il suo orientamento etico, «sono sempre pacifista, non c’è mai una guerra giusta. Come diceva Gino Strada, la violenza non è mai la medicina giusta, non debella la malattia ma uccide il paziente».