Non era stato ancora ultimato lo spoglio delle schede delle presidenziali francesi, che davano Emmanuel Macron in testa su Marine Le Pen, che iniziavano a circolare voci su un tentativo russo di inquinamento della campagna elettorale, volto a colpire il candidato centrista.

I sospetti di cyber-spionaggio russo sono stati confermati direttamente dal quartier generale del movimento En Marche!. Secondo la società di sicurezza Trend Micro, che ha svolto le indagini in rete, ci sarebbe stato un tentativo di violare siti e mail dello staff di Macron ad opera di un noto gruppo di hacker conosciuto con il nome di «Pawn Storm», direttamente collegato all’agenzia federale di spionaggio russa Gru.

La Trend Micro avrebbe rilevato che le impronte digitali degli hacker russi sarebbero riconducibili agli attacchi portati ad Hillary Clinton durante la campagna elettorale americana dello scorso novembre.

L’accusa di cyber-spionaggio, almeno dal punto di vista politico, deve aver colpito nel segno, perché il portavoce di Putin, Dmitry Peskov, ha sentito la necessità di replicare a stretto giro. Dopo aver sottolineato come «la Russia non abbia preferenze tra i candidati all’Eliseo» e sia pronta a collaborare con chiunque diverrà presidente, ha rispedito al mittente le accuse di spionaggio. «Tutto questo ci ricorda le accuse lanciateci contro da Washington durante le presidenziali di novembre, accuse rimaste campate in aria, il che dimostra la loro scarsa serietà» ha dichiarato Peskov.

Tali insinuazioni erano già state mosse dallo staff di Macron nel febbraio di quest’anno. Che Macron abbia sentito il bisogno di rilanciarle subito dopo aver ipotecato la vittoria al ballottaggio, è un chiaro messaggio indirizzato alla Russia sulle linee di faglia della sua futura politica estera.

È evidente che la sconfitta di Marine Le Pen rappresenterebbe un ulteriore passo falso per il Cremlino nel tentativo di costruire, se non una «internazionale sovranista», almeno un «polo non ostile pregiudizialmente alla Russia».

Sembrano passati anni da quando, solo qualche mese fa, Mosca incassava il successo dell’alleato siriano ad Aleppo, vedeva imporsi candidati filo-russi in Moldavia e Bulgaria, mentre la possibilità di una vittoria di Trump negli Usa smetteva di essere una ipotesi di scuola e diventava realtà.

L’«ondata populista», da allora, si è arenata. Alla sconfitta della destra nelle elezioni austriache è seguita la conferma della russofobia dei nuovi inquilini di Downing Street, la svolta interventista di Trump e ora il probabile insuccesso del Front National.

Non è un caso che nelle settimane scorse il Cremlino abbia iniziato a sondare la possibilità di costruire dei rapporti con Jean-Luc Mélenchon, quando il candidato di France Insoumise ha iniziato a salire nei sondaggi. Mélenchon del resto, seppur con qualche cautela, ha ribadito più volte la volontà di voler costruire un ponte diplomatico-politico con Putin.