Il riconoscimento è il faro che guida, da oltre trent’anni, la navigazione di Axel Honneth nel mare della filosofia politica. Partendo dalle pagine dedicate da Hegel a questo concetto, Honneth, nel corso degli anni, ha fatto del riconoscimento la chiave di accesso per comprendere comportamenti collettivi, conflitti, assetti istituzionali in repentino mutamento sotto l’incalzare delle politiche identitarie e dei movimenti sociali che, con ottusa e deterministica ostinazione, sono qualificati da molti politologi come postmaterialisti.

Il femminismo, l’appartenenza etnica e nazionale, l’ambientalismo sarebbero movimenti sociali comprensibili solo a partire dal concetto di riconoscimento.

Noto è il dialogo a distanza che Honneth ha avuto con la filosofa femminista Judith Butler, quando quest’ultima ha sottolineato il fatto che il riconoscimento è solo una forma garbata di esercizio del potere, un fattore cioè che rende compatibili – neutralizzandone le asperità e i possibili punti di rottura con l’ordine costituito – domande e rivendicazioni che altrimenti possono scardinare le norme dominanti nel capitalismo contemporaneo.

HONNETH VEDE invece in quel riconoscimento il viatico per la libertà, l’autonomia e l’autocoscienza individuale di uomini e donne che vivono in mezzo ai propri simili. È ciò che consente così la costituzione tanto della società politica che dello stato in quanto garante del vivere associato.

Al di là della genealogia culturale del riconoscimento, il concetto può essere inoltre l’angolo prospettico dal quale analizzare il regno della comunicazione permanente attraverso la Rete. In altri termini, in un mondo – Internet – dove tutti sono potenzialmente esposti allo sguardo dell’altro, il riconoscimento può facilitare l’analisi dei movimenti basati su affinità elettive – le comunità virtuali dei simili e dei diversi tanto decantate dal boss di Facebook Mark Zuckerberg – nonché l’individuazione delle forme di controllo sociale messe in campo dentro e fuori la Rete.

ORA LA CASA editrice Feltrinelli ha dato alle stampe un denso saggio di Axel Honneth dove il filosofo tedesco mette a confronto tre diverse tradizioni filosofiche attorno al riconoscimento (Riconoscimento, pp. 166, euro 22). Ci sono le riflessioni francesi che da Rousseau a Louis Althusser hanno legato il riconoscimento all’amor proprio e al mascheramento della propria personalità.

Per i francesi, è stato infatti lo strumento per veicolare una falsa coscienza e per occultare la propria individualità in nome di un agognato status “riconosciuto” dal potere. Il riconoscimento è, infine, foriero di un desiderio di primeggiare, di presentarsi ai propri simili sotto una luce esemplare: una sofisticata simulazione di qualità quasi sempre inesistenti.

Eguale excursus storico-filosofico Honneth lo compie per la tradizione inglese, con tutte le differenze del caso tra la riflessione di David Hume, l’Adam Smith della teoria dei sentimenti e l’utilitarista affascinato dal socialismo Stuart Mill. Nell’illuminismo scozzese, annota Honneth, il riconoscimento non ha un’accezione negativa, perché è lo strumento che consente al singolo di mitigare l’individualismo proprietario, essendo così accolto nella comunità nazionale.

REPUTAZIONE, simpatia, immaginazione: sono questi gli architrave di un dispositivo che attraverso il riconoscimento definisce la costituzione e la cura di un legame sociale che gli spiriti animali del capitalismo erodono dall’interno delle relazioni interumane e attraverso l’egoistica massimizzazione dei propri profitti.

C’è bisogno però di una terza figura che definisce il reciproco riconoscimento. Non è certo lo Stato, tenuto ai margini delle dinamiche sociali del nascente capitalismo, né il sovrano o il parlamento.

La figura terza degli illuministi scozzesi è eletta ad arbitro delle dinamiche inerenti i rapporti interpersonali da ogni coppia di individui che si incontrano e che posano, valutando i comportamenti altrui, lo sguardo l’uno sull’altro. In un sofisticato gioco di ruolo, il riconoscimento è propedeutico alla reputazione socialmente definita dei singoli, alla necessaria simpatia (l’altro come specchio della propria morale), elementi indispensabili per essere accolti nella comunità, mentre l’immaginazione definisce il campo del possibile consolidamento e miglioramento di sé.

MA È SOLO CON HEGEL che acquisisce uno statuto filosofico pieno. Il pensatore vede nel riconoscimento la reciprocità, il rispetto, la necessaria autolimitazione della propria libertà per garantire libertà dell’altro. È il fattore indispensabile per l’autonomia individuale, indispensabile condizione per l’esercizio di una vera libertà. Il riconoscimento è inoltre propedeutico alla legittimazione dei conflitti esistenti nella società. Non a quelli legati all’interpretazione delle leggi e delle norme, bensì quelli che hanno a che fare con la definizione delle norme che regolano lo stare in società.

Honneth chiude il libro invitando gli studiosi a lavorare per l’integrazione delle tre diverse tradizioni filosofiche. È l’aspetto meno convincente del libro, in particolar modo quando respinge le critiche alle politiche delle identità e del riconoscimento in quanto dispositivi di consolidamento delle forme di potere e di dominio nelle società capitalistiche. L’autore recupera il riconoscimento come momento fondante dell’azione politica e sociale. Ma la sua è un’operazione destinata solo a rafforzare il sogno, o l’incubo, di una autocoscienza individuale come esercizio di una libertà disincarnata tuttavia dagli interessi, dalla vita activa e da quel diverso potere sociale esistente tra i singoli che pure Hegel aveva messo al centro della sua riflessione allorquando ha introdotto la dialettica tra servo e padrone.

Il volume di Axel Honneth torna però utile se usato come strumento critico nell’analisi di quella «comunicazione totale», cioè il dialogo di tutti con tutti che avviene in Rete.
In primo luogo, c’è riconoscimento solo attraverso il linguaggio e la comunicazione. E se in un mondo di mezzi comunicativi mediati da figure professionali (i media e i giornalisti) o da istituzioni (lo Stato, i partiti, i sindacati e le associazioni degli interessi) il riconoscimento è favorito, appunto, dal sistema dei media e dai produttori di opinione pubblica, nella Rete questo tema subisce un cortocircuito.

Come in un rosario, tutti gli elementi introdotti da Honneth sono infatti sgranati: l’amor proprio e la simulazione di qualità inesistenti dei francesi; la reputazione, la simpatia e l’immaginazione degli illuministi scozzesi; il rispetto e l’autocoscienza dei tedeschi occupano, saturandolo, lo spazio comunicativo della Rete.

Il riconoscimento è la dannazione della individuale comunicazione on line. E, cosa importante, è l’atto preliminare nella formazione dell’opinione pubblica, cioè quell’ambito antitetico alla Politica, intendendo con questo termine la messa in comune da parte di uomini e donne delle condizioni della propria esistenza e della trasformazione dei rapporti sociali dominanti.

IN RETE, il riconoscimento (ambito e perseguito) è strumento per una radicale depoliticizzazione dei conflitti sociali e la leva per una rinnovata legittimazione dello stato come monopolista della decisione. La Rete diviene quindi lo spazio pubblico dove i conflitti sono delimitati nell’ambito circoscritto dell’ordinaria interpretazione delle norme.

Nel capitalismo delle piattaforme digitali il riconoscimento altro non è quindi che la definizione e fossilizzazione dei comportamenti dati, ma anche la piattaforma – attraverso i software predittivi – per mettere in forma i rapporti sociali di produzione capitalistici e per accompagnare le pratiche estrattive di valore dalla socialità, dalla comunicazione, dall’affettività.

Dunque il riconoscimento è l’atto preliminare per riprodurre i rapporti di potere dati, ma anche il mezzo usato per plasmare e predefinire i comportamenti futuri. Anche in questo caso emerge il carattere normalizzatore del concetto. È un atto fondamentalmente inerente la comunicazione: produce, cioè, informazione, dati sulla vita sociale dei singoli, favorendo in una realtà fortemente mediatica la trasformazione dell’intera esistenza umana in Big Data.

Siamo cioè alla chiusura di un cerchio iniziato a tracciare agli albori della modernità. Il riconoscimento, cioè un concetto che intuitivamente definisce gli ambiti delle relazioni umane, diviene nel capitalismo della sorveglianza la via maestra per la produzione di un «surplus comportamentale» che definisce i rapporti di potere nel presente. E nel futuro.