«Credevo ormai di aver imparato che nell’epoca aspra e terribile delle armi atomiche nessuno sa più calcolare se e quando le flotte, gli aerei e i cannoni possano veramente fermarsi. (…) Non credo che nell’era atomica armandosi si salvi la pace (…) La pace si prepara con la pace. Questo non c’è nella politica dell’attuale governo: ci sono invece le flotte e la vecchia diplomazia dei patti militari sotto il grande ombrello armato della potenza americana. L’Onu appunto diventa così un’appendice. Ma così il mondo, questo mondo così terribilmente diviso in opulenti e affamati è a rischio».

Non riporto parole di una motivata opinione o di un giudizio circostanziato espresso ieri o quest’oggi, primo giorno d’aprile del 2022, riguardo alla guerra che da oltre un mese devasta i territori, le città e le popolazioni dell’Ucraina. No, non oggi, né ieri. Queste parole sono state pronunciate trentadue anni fa, di fronte ad un’altra guerra.

Sono le parole dette da Pietro Ingrao alla Camera dei deputati il 23 agosto del 1990. Con esse Ingrao dichiarava il suo dissenso dal proprio gruppo parlamentare, quello del Pci, che non vota contro, ma si astiene sulla decisione del governo di inviare un contingente militare italiano nel Golfo.

Mille novecento novanta, duemila ventidue: trentadue anni e una decina di guerre, di occupazioni armate, alcune durate vent’anni: Golfo 1990; Bosnia 1993; Kosovo 1999; Afghanistan 2002; Iraq 2003… All’aprirsi della guerra in Afghanistan, nel 2002, Ingrao, in polemica con Alfredo Reichlin e Giorgio Napolitano (che «respinge l’uso della parola ‘guerra’ e parla di ‘azione militare’ delle Nazioni Unite») torna a richiamare l’articolo 11 della Costituzione («L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali»).

Chiede «risposte sulla sua validità o meno» e aggiunge: «Intendiamoci: io sento bene il rischio di apparire ristretto – persino provinciale – nel restare ancora aggrappato a quella piccola Carta italiana del 1948. E rispondo: sì, è vero, parlando dell’articolo 11 evoco volutamente la questione dello Stato-nazione, che ritengo dimensione niente affatto cancellata da quel fenomeno grandioso e drammatico che oggi chiamiamo ‘globalizzazione’».

Ma, continua Ingrao, «esistendo oggi in Italia (in questo Stato) una Costituzione abbiamo diritto di chiedere conto del rispetto dell’articolo 11: quel passo della Costituzione, che parla della pace e della guerra, e ragiona su eventi che per i cittadini possono significare la vita o la morte. Sostengo allora: è possibile che quell’articolo 11 sia oggi superato, e venga cassato. Ma bisogna dirlo. E si può annullarlo solo dicendolo: e sottomettendosi alla prova del consenso del Paese. E se i Custodi della Costituzione non tutelano questo mio diritto mancano al loro compito: gravemente. Violano la legge».

Ho trascritto con ampiezza le prese di posizione di Pietro Ingrao di fronte alla guerra col proposito non tanto di mettere in luce la palmare evidenza della loro piena attualità, quanto per rimarcare il nulla che da trent’anni in qua è stato fatto in Italia per rendere operante lo spirito e la lettera dell’articolo 11. Disatteso, sottaciuto, non rispettato, nei fatti costantemente violato.

Quando si dice subalternità dell’Italia alla Nato, alla compagine armata plurinazionale subalterna agli Stati Uniti! Un’Italia resa indegna della sua Costituzione.

L’Italia, che nell’articolo 11 dispone di ogni principio e di chiare indicazioni operative per affermarsi tra le armi del mondo come paese in ogni caso indisponibile a soluzioni armate, ma, tutto al contrario, attivo invece nella promozione, nell’incremento, nella tutela costante di ordinamenti e organismi internazionali che con la pace preparano la pace, come l’articolo 11 (che è necessario meditare nella sua interezza) non manca di indicare: l’Italia, recita, «consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia tra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo».