C’è stato anche chi, di fronte all’esito finale, ha ricordato a bassa voce la cosiddetta «legge del fratricidio», e cioè la pratica da parte del monarca appena incoronato di far uccidere i suoi fratelli maschi, perché rivali pericolosi e poco controllabili. È successo ieri mattina nel Pd di Bologna, dove le correnti avversarie del candidato sindaco Matteo Lepore sono state letteralmente cancellate dalla mappa politica del futuro consiglio comunale. A rimanere fuori lista anche gli assessori dem uscenti Marco Lombardo e Alberto Aitini, e cioè i due principali contendenti alla carica di candidato sindaco del centrosinistra.

Per fermare l’ascesa di Matteo Lepore, delfino dell’uscente primo cittadino Virginio Merola e candidato della sinistra del partito, i due si erano giocati il tutto per tutto appoggiando nelle primarie la renziana Isabella Conti, di casa nel Pd ma con in tasca la tessera di Italia Viva. Dopo la sconfitta è finita che il primo, elegantemente, ha preferito chiamarsi fuori dai giochi per tempo. Il secondo, ex segretario del Partito democratico cittadino, ha deciso invece di resistere e chiedere la mediazione della sua corrente, e cioè di Base Riformista. L’intervento di Roma c’è stato, ma niente da fare. Fuori Aitini e tutti i suoi, che di fronte all’umiliazione politica si sono ritirati in protesta. Così come sono rimasti fuori tutti gli ex renziani rimasti nel partito. «Il Pd ha deciso di non essere plurale, un brutto segnale», ha protestato il senatore dem Andrea Marcucci.

A stravincere, invece, è stato Matteo Lepore, assessore da 10 anni ora proiettato senza patemi verso le elezioni di ottobre. Contro di lui infatti ci sarà una destra litigiosa, con un candidato sconosciuto ai più, e capace per giunta di dividersi anche nell’unico quartiere, il ricco Santo Stefano, dove avrebbe potuto vincere. Lì Fratelli d’Italia sta già accusando la Lega, che ha scelto di andare da sola, di «fare un favore al Pd». Salvo stravolgimenti improbabili a ottobre non ci sarà competizione, e tutti gli occhi saranno quindi puntati sugli equilibri interni del centrosinistra. Per questo Lepore ha scelto di fare piazza pulita. Ufficialmente perché gli esclusi hanno appoggiato una candidata non del Pd, nella realtà anche perché in consiglio comunale Aitini avrebbe creato un gruppo di tre-quattro consiglieri capace di tenere in pugno la maggioranza.

Quello che nascerà dopo le urne sarà ora «un Pd più progressista, un gruppo coeso per non tremare ad ogni consiglio comunale», spiega un dirigente vicinissimo a Lepore. Il nuovo Pd bolognese, pacificato con la forza, guarderà ora più a sinistra soprattutto per quanto riguarda i diritti civili e l’immigrazione, e orbiterà compatto attorno al suo candidato sindaco che ora parla di un partito «laburista», capace di dare l’esempio al Pd di Enrico Letta.

Alleati del Pd saranno i grillini di Massimo Bugani, capolista a Bologna. Con Lepore anche i Verdi e la lista di Isabella Conti, ma senza la diretta interessata. A puntare in alto (asticella al 10%) sarà invece la sinistra di Coalizione civica, Coraggiosa, ecologista e solidale, che metterà assieme Sinistra Italiana, nomi provenienti da alcuni centri sociali cittadini (Tpo e Làbas), Articolo 1 e la corrente di Elly Schlein, che ha mancato di un soffio il colpaccio della candidatura di Mattia Santori. La sardina numero 1 è stata infatti convinta da Lepore a scegliere il Pd, e ora per lui c’è un futuro da assessore (in quota sindaco) quasi assicurato. Capolista dei dem sarà Rita Monticelli, professoressa di letteratura inglese e studi di genere all’Università di Bologna, docente di Patrick Zaki.

Le fibrillazioni per il Pd sono però destinate a finire: dopo le urne ci sarà il congresso provinciale, e già si affilano i coltelli. Alcuni guardano ad esempio alla notizia, diffusa dal quotidiano La Verità, di presunti brogli alle primarie del 2019 nel comune bolognese di Argelato. Potrebbe essere quella la continuazione, con altri mezzi, di una battaglia fratricida che va avanti da oltre un anno.