Anziani e poveri che rinunciano alle cure mediche a causa dei tempi biblici delle liste d’attesa, con prenotazioni che arrivano anche ai primi del 2024. E intanto gli otto milioni di euro annunciati lo scorso settembre dalla giunta regionale sarda di centrodestra per far fronte all’emergenza spariti nel nulla. «La situazione è decisamente preoccupante – dicono Salvatore Sanna, presidente di Acli Salute, e Luciano Turini, rappresentante di Acli Assoconfam – I disagi maggiori sono nel centro-nord dell’isola, dove tra l’altro la disponibilità di strutture private convenzionate con la Regione Sardegna è molto limitata rispetto al sud, con una disponibilità pro-capite del 10% in meno».

Ma non è soltanto un problema di liste d’attesa. Ci sono città, come Nuoro ed Oristano, dove interi reparti ospedalieri sono stati chiusi e altri funzionano male per mancanza di personale medico, tecnico e infermieristico. A Nuoro l’ospedale San Francesco è stato fortemente ridimensionato. A Oristano il San Martino vive in uno stato di crisi permanente. La conseguenza è che in Sardegna per curarsi si deve ricorrere sempre di più ai privati. Chi ha i mezzi economici per farlo risolve i problemi. Gli altri rinunciano alle cure, con conseguenze sui tassi di mortalità che sono drammatiche.

Nel 2012 nell’isola ci sono stati 15.887 morti nell’arco di dodici mesi. Dieci anni dopo, nel 2022, sono stati 20.524. L’incremento è del 29,18%. Un terzo in più. Percentuale alla quale altri territori nel resto d’Italia non si avvicinano nemmeno. La regione che ha fatto registrare il secondo maggiore incremento è stata la Puglia, passata da 37.998 a 44.607: una crescita di “appena” il 17,39%, quindi di circa dodici punti percentuali inferiore rispetto a quella sarda. Dati inquietanti, anche se nella loro lettura bisogna ovviamente tenere conto che in mezzo c’è stato il Covid. E la Sardegna è ultima nella classifica di Fondazione Gimbe per l’erogazione delle prestazioni garantite dai “Livelli essenziali di assistenza”, la condizione minima di cura che dovrebbe essere fornita in tutta Italia nello stesso modo, e che invece continua a registrare profonde differenze. L’isola garantisce poco più della metà dei servizi essenziali, il 56,3%.

«Pochi giorni fa l’assessore alla Sanità Carlo Doria – denunciano i consiglieri regionali di opposizione Daniele Cocco (Progressisti), Gianfranco Ganau (Pd) e Desirè Manca (M5S) – ha deciso di non rinnovare il rapporto di lavoro a 150 medici delle Unità speciali di continuità assistenziale e a 54 medici interinali il cui contratto è scaduto il 31 dicembre 2022. Questo ha creato un danno enorme al sistema sanitario sardo. Gravi le ripercussioni sull’utenza, cui sono tolti servizi essenziali: chiuso l’hub vaccinale di Sassari, sbarrate nelle ore notturne le porte del pronto soccorso della città di Ozieri, in numerosi comuni migliaia di pazienti privi persino del medico di base». «Un disastro – continuano Cocco, Ganau e Manca – causato dalle scelte dell’assessore Doria e della giunta regionale guidata da Christian Solinas, che si deve assumere la piena responsabilità di una situazione diventata ormai intollerabile».

Per protestare contro lo sfascio, in tutta la Sardegna sono nati comitati spontanei di cittadini. «Il 17 marzo – dice Francesco Carta, membro del coordinamento regionale di questo vasto arcipelago di sigle – si è svolta ad Oristano una grande manifestazione regionale, con tremila persone da tutta l’isola che hanno sfilato in difesa del sistema sanitario nazionale e contro la carenza di operatori negli ospedali e nelle cure territoriali. Significativa la partecipazione di tantissimi sindaci e dei sindacati, confederali e di base. Un esempio di democrazia e di partecipazione. Un’intera comunità che ha protestato contro la mancanza di cure nei territori e per una sanità pubblica, universalistica e gratuita».