«Troppi poteri nelle mani di Alfredo Mantovano». Ufficialmente nessuno lo ammette, anzi solo a parlarne fioccano le smentite. E però nella Lega i mal di pancia per il ruolo sempre più determinante che il sottosegretario alla presidenza del consiglio va assumendo nel governo, anche in virtù dei buoni rapporti con il Quirinale – aumentano di giorno in giorno.

L’ultimo dispiacere, per i leghisti, è arrivato con il consiglio dei ministri di lunedì scorso con la premier che ha affidato proprio al sottosegretario il compito di coordinare il lavoro dei ministri più direttamente interessati al dossier immigrazione (in particolare Interno, Esteri, Difesa e Giustizia) attraverso il Cisr, il Comitato interministeriale per la sicurezza della Repubblica presieduto da Giorgia Meloni. Chiaro il messaggio che in questo modo la premier ha voluto lanciare agli alleati: su questo tema così delicato, sul quale il governo si gioca una buona dose di credibilità, il lavoro deve essere collegiale: si vince o si perde assieme, nessuna fuga in avanti da parte di chi è invece ansioso di piantare bandierine a fini elettorali. Al punto che al termine del consiglio è stato proprio il sottosegretario, più che il titolare del Viminale, a giustificare in conferenza stampa l’impennata degli sbarchi (+103% rispetto al 2022) illustrando le strategie per provare a contenere gli arrivi sulle coste italiane.

Un affronto per uno come Matteo Salvini che si sente titolare della lotta all’immigrazione «clandestina». E infatti ieri è circolata la voce che il ministro e vicepremier leghista non avrebbe mai partecipato alle riunioni settimanali del Cisr. Voci che fonti della Lega si sono affrettate a smentire assicurando che Salvini «a ogni riunione sarà presente, come sempre successo». Aggiungendo poi che «gli uffici del Mit non si occupano di immigrazione come è normale e come è sempre stato» (cosa vera solo in parte visto che la Guardia costiera dipende proprio dal ministero guidato dal leghista).

Tutto bene dunque? Macché. Proprio martedì, mentre Meloni si preparava per il primo consiglio del dopo ferie, Salvini partiva all’attacco chiedendo un nuovo decreto sicurezza e ripetendo che «quando ero io al Viminale gli sbarchi erano diminuiti». Senza parlare poi dei segnali di insofferenza che arrivano dalla Regioni e che per la premier rappresentano altrettanti campanelli d’allarme di un malumore che sembra essere sempre meno carsico. Come la nota inviata dai vertici liguri del Carroccio al ministro Piantedosi per chiedere uno stop all’invio di richiedenti asilo: «Genova è satura, non ha più spazi per ulteriori migranti», hanno scritto. O come le parole con cui Luca Zaia ha criticato l’intenzione di Meloni di aumentare rimpatri ed espulsioni: «Come svuotare il mare con un secchio», ha detto il governatore del Veneto. «Arriveremo a oltre 200 mila persone quest’anno, solo l’8% avrà lo status di rifugiato. Quindi almeno 150 mila dovrebbero essere riaccompagnate una a una in aereo con le forze dell’ordine. La vedo dura».

Da parte sua Piantedosi, che Salvini ha voluto come suo successore al Viminale, è intervenuto chiedendo un maggior lavoro da parte dell’intelligence su quanto accade sull’altra sponda del Mediterraneo.

Con questo scenario sullo sfondo, martedì Mantovano ha presieduto la prima riunione del Cisr seguendo la rotta concordata con Meloni. In futuro nessun viaggio di singoli ministri dei paesi di origine e di transito dei migranti, ma solo missioni collegiali. Decisa anche una nuova fornitura di mezzi alla Guardia costiera tunisina che si vedrà assegnare motovedette, pick-up e radar per controllare le frontiere. In attesa che a settembre il consiglio dei ministri vari nuove misure per accelerare le espulsioni e la creazioni di nuovi Cpr. Non si sa ancora se con un decreto o un disegno di legge.