In Ucraina esiste un altro fronte oltre a quello militare. È la rete energetica del Paese, da oltre un anno e mezzo al centro dei bombardamenti russi e delle preoccupazioni di Kiev. Da Kharkiv a Odessa, passando per il Donbass e le grandi città nelle retrovie, i civili ucraini sono già preoccupati per il prossimo inverno e cercano di correre ai ripari come possono.

A Siversk, nella regione orientale del Donetsk, è già frequente vedere anziani con il carrellino di ferro che trascinano pezzi di legna verso i cortili dei palazzi. «Ora non ci pensano in molti, soprattutto i più giovani, perciò io ho iniziato a raccoglierla» spiega Oleg, che curvo in salita si tira dietro il suo carrettino artigianale carico di legna di risulta. Ogni nuovo bombardamento fornisce pezzetti di mobili, arredi di negozi ormai chiusi da tempo e rami di alberi spezzati che puntualmente vengono raccolti e accatastati. L’ambientazione è quella dei «bloc» sovietici, i complessi di edilizia popolare presenti in tutti i Paesi dell’ex Patto di Varsavia che si sviluppano in quadrilateri di palazzine lunghe e strette di 5 o 6 piani intorno a parchetti dove si stendono i panni, ci sono giostre per i bambini o si parcheggia.

LA MAGGIOR PARTE di questi agglomerati nelle cittadine ucraine dell’est a ridosso del fronte sono stati bombardati e sono semi-deserti. Entrando, attraverso il sottoscala, si accede alle cantine condominiali che da due anni e mezzi sono usate come rifugi da chi non si è mai lasciato convincere a partire. Nei mesi freddi, che in quelle regioni vanno da ottobre ad aprile, è frequente incontrare vecchie signore con due o tre scialli sulle spalle e sporchi cappotti da poche grivne che di giorno ammazzano il tempo sotto le pensiline dei palazzi e si danno il cambio di fronte a grosse marmitte dove ribollono borsch e zuppe varie. Se non sono già partite è difficile che se ne vadano ora, anche se ogni tanto capita che colpiscano il palazzo accanto al loro, che qualche conoscente muoia e allora l’attaccamento alla vita prevale anche sull’ignoranza, sulla povertà o sull’ostinazione degli anziani di paese che sono nati e cresciuti nello stesso angolino del mondo. Verso sera si accende il fuoco in stufe artigianali che quando non sono vere caldaie di ghisa sono pezzi di metallo accroccati, da cui partono tubi di alluminio che si conficcano nel muro.

Dai cortili si vedono colonnine di fumo che si levano dal terreno e indicano la presenza di qualcuno che muore di freddo. Nonostante le cantine si riempiano di fumo che fa tossire e lacrimare costantemente, quel fuoco è indispensabile per restare vivi. Qui la corrente manca da oltre un anno, in alcuni centri anche da due.

NELLE CITTÀ la fornitura elettrica non è interrotta del tutto. I centri più vicini al fronte subiscono tagli improvvisi, negli altri si è già provveduto a stilare calendari con i giorni e le ore di interruzione. Inoltre le distanze sono più lunghe rispetto ai villaggi, la legna non si trova e comunque il posto per fare un fuoco non sempre è disponibile. Dove manca la corrente generalmente manca anche il gas e quindi non c’è una via alternativa per scaldarsi. Perciò è importante riparare le finestre, che a ogni bombardamento vanno in frantumi di nuovo; bisogna fare incetta di coperte e abiti pesanti e chi può compra dei piccoli caloriferi elettrici che accende al massimo nei rari momenti in cui torna la corrente. Ma, anche se il contesto si è andato degradando con il protrarsi della guerra, il problema delle forniture energetiche per il governo di Kiev esiste da tempo. A partire dalla guerra civile in Donbass, dove si trovavano le sole miniere di antracite dell’Ucraina, in quell’epoca l’unica risorsa energetica della quale Kiev aveva ampia disponibilità sul proprio terreno. In seguito alla proclamazione delle repubbliche separatiste l’Ucraina è diventata dipendente dalle importazioni di materie prime e, di conseguenza, ha iniziato a subire interruzioni di corrente nello stesso anno.

DALL’INVASIONE RUSSA del 24 febbraio 2022 anche la centrale nucleare di Zaporizhzhia, la più grande d’Europa, è passata sotto il controllo russo e Kiev ha perso il 44% della capacità nucleare pre-bellica. Attualmente, oltre il 30% delle capacità di produzione di energia solare dell’Ucraina e il 90% delle capacità eoliche del Paese rimangono nei territori occupati. Nel settembre del 2022, l’allora comandante in capo delle forze armate russe Sorokin decise di lanciare una massiccia campagna di attacchi aerei contro la rete elettrica ucraina, cercando di distruggere sia la produzione di energia sia l’infrastruttura di trasmissione. Il risultato è stato che più della metà dell’infrastruttura di trasmissione dell’energia oggi è inutilizzabile. Gli attacchi missilistici hanno decimato l’intera rete ad alta tensione da 750 kv, utilizzata per distribuire l’elettricità dalle centrali nucleari al resto del Paese.

QUASI TUTTE LE CENTRALI termiche e idroelettriche sono state attaccate. Alla fine di aprile 2023, la capacità termica effettiva ucraina era inferiore del 65% rispetto ai 17,1 gigawatt disponibili all’inizio del 2022 e la capacità idroelettrica disponibile era diminuita del 29,8% rispetto ai 6,7 GW dell’anno precedente. Poi, nel 2023 la diga di Kakhovka è stata fatta brillare e anche la capacità idroelettrica è diminuita di molto. L’esplosione ha anche messo fuori uso il collegamento alla rete elettrica della centrale nucleare di Zaporizhzhia, facendo temere un blackout dell’impianto. Infine, la serie di raid russi di fine marzo alle infrastrutture energetiche ucraine hanno colpito circa 20 stazioni e sottostazioni elettriche, oltre a strutture sotterranee di stoccaggio del gas e diverse centrali elettriche.

Secondo l’amministratore delegato di Ukrhydroenergo, Igor Syrota, oltre il 20% della capacità di produzione di energia elettrica dell’Ucraina è stata messa fuori uso. Un milione e mezzo di persone sono rimaste senza corrente e molte di queste ancora lo sono. Si stima che oltre un miliardo di dollari di danni siano stati causati solo tra il 22 e il 24 marzo e le varie autorità del settore energetico ucraino hanno dichiarato che la situazione è «estremamente preoccupante» e che dopo l’estate in molte regioni orientali si potrebbero avere disponibilità di corrente per sole 4 ore al giorno. Nel frattempo la società Dtek, che gestisce parte della rete, investe tutti i fondi disponibili e parte di quelli ricevuti dall’Ue per ripristinare le centrali termiche danneggiate dai bombardamenti russi, come ha spiegato il direttore esecutivo del gruppo, Dmytro Sakharuk. «Abbiamo perso il 90% della capacità elettrica della compagnia. Ora stiamo investendo 4 miliardi di dollari per recuperare».

LO SCORSO APRILE un bombardamento russo ha distrutto la centrale termica di Trypillia, il principale fornitore di energia elettrica degli oblast di Kiev, Zhytomyr e Cherkasy. Il 13 maggio, il ministro dell’energia ucraina Herman Halushchenko ha dichiarato che, a causa degli attacchi, l’Ucraina potrebbe non solo affrontare un «inverno difficile», ma anche problemi di approvvigionamento elettrico durante l’estate. «Ad oggi abbiamo già perso circa 8 gigawatt di capacità nel sistema. Se questo fosse accaduto in qualsiasi altro Paese, ci sarebbe stato un blackout totale», ha dichiarato Halushchenko. Ma qualsiasi altro Paese non ha gli stati più ricchi del pianeta che lo finanziano costantemente e copiosamente. Il problema, e i vertici ucraini lo sanno, è che senza quei soldi tutto collasserebbe e la «luce della resistenza ucraina», come la definì una volta Zelensky, si spegnerebbe di colpo. Per questo, nell’incertezza più totale, chi può si prepara già per il freddo perché la guerra dura da talmente tanto tempo che per sopravvivere bisogna organizzarsi.