Era stato facile per Jaroslaw convincere Mariusz a tenere la bocca chiusa. «Non dirlo a nessuno o sarà la rovina. Per tutti e due» gli aveva intimato. E Mariusz obbedì, non aveva scelta. La sua famiglia non si era mai presa cura di lui. Pochi soldi, molto alcol. Jaroslaw era diverso.

Sarà stato per la tunica che indossava, per l’istituzione che rappresentava. Mariusz credeva ciecamente a quell’uomo. Lo aveva conosciuto a scuola all’ora di religione. «Vorrei fare il chierichetto» gli disse un giorno Mariusz e Jaroslaw fu ben contento di esaudire quel desiderio. Poi un giorno Jaroslaw portò Mariusz in canonica. «Mi disse di sdraiarmi sul letto – racconta Mariusz – Gli dicevo che mi faceva male, ma lui continuava». Jaroslaw continuò ad abusare di lui per nove anni.

L’ultima volta che Mariusz vide Jaroslaw ne aveva diciotto.

Il vescovo di Torùn Andrzej Suski è l’uomo a cui Mariusz ha confidato per la prima volta il suo segreto. Suski non fu sorpreso da quel racconto. «Metti tutto per iscritto – ordinò il vescovo – altrimenti non possiamo fare nulla». Il processo celebrato dinanzi al tribunale della Curia fu però l’ennesima umiliazione. «È stato allora che ho pensato di farla finita – ricorda Mariusz – hanno fatto di tutto per screditarmi. Sono arrivati persino ad accusarmi di aver fatto sesso con il prete per soldi».

Innocente nel nome del Signore, colpevole in nome del popolo polacco, alla fine dello scorso anno Jaroslaw ha iniziato a scontare la sua condanna. Tre anni di carcere, dieci lontano dalla Chiesa. Fino alla sentenza definitiva, tuttavia, Jaroslaw ha continuato a celebrare la messa in un’altra parrocchia.

Oggi Mariusz è appena l’ombra di se stesso. Non ha finito gli studi, non ha una relazione. La gente al suo paese crede che abbia montato questo caso per denaro. «La cosa peggiore sono gli incubi. A volte il prete mi appare in sogno e mi chiede: “Perché mi hai fatto questo?”. Vorrei poter dire alle vittime di non avere paura, i bambini sono sempre innocenti».

Quella di Mariusz è una delle tante storie emerse da quando sei anni fa è esploso lo scandalo pedofilia nella Chiesa polacca. Uno scandalo culminato con la pubblicazione su Youtube di Tylko nie mow nikomu, Non dirlo a nessuno, il documentario dei fratelli Tomasz e Marek Sekielski, realizzato grazie a una raccolta fondi lanciata sul web.

Due ore di testimonianze mettono sotto accusa l’intreccio di abusi, silenzi, complicità nel clero polacco che vede coinvolte anche figure prominenti come Franciszek Cybula, cappellano di Lech Walesa, leader storico di Solidarnosc ed ex presidente della Polonia.

Al documentario che conta finora più di venti milioni di visualizzazioni, sono seguite scuse e promesse di tolleranza zero. Il primate di Polonia Wojciech Polak ha ringraziato i fratelli Sekielski e chiesto perdono «per ogni ferita inflitta dalla Chiesa».

«È difficile immaginare che il clero possa risolvere questo problema al proprio interno», commenta l’avvocata Anna Frankowska che assiste le vittime di pedofilia in sede legale. Uno dei punti su cui Frankowska si sta battendo è l’istituzione di una commissione d’inchiesta indipendente sugli abusi sessuali nella Chiesa, al pari di quanto avvenuto in Australia e Germania. Un team di esperti ha redatto un disegno di legge di iniziativa popolare, ma dopo la pubblicazione del documentario dei fratelli Siekelski il governo guidato dal partito conservatore Diritto e Giustizia (Pis) di Jaroslaw Kaczynski, ha presentato una controproposta: una commissione d’inchiesta sulla pedofilia senza uno specifico riferimento alla Chiesa.

«La pedofilia è un reato chiunque lo commetta – prosegue Frankowska – ma il clero gode di un potere speciale grazie al quale si impedisce l’accesso ad alcuni documenti che per il diritto canonico sono riservati». Una commissione a metà quindi che non consente, se non limitatamente, di entrare in possesso di informazioni che potrebbero colpire non solo chi ha commesso il reato, ma anche chi sapeva e ha taciuto.

«La cosa più dolorosa è invece proprio il muro di omertà intorno agli abusi», spiega l’avvocata che ricorda una delle storie più drammatiche venute fuori sinora, quella di una bambina abusata da un prete, rimasta incinta e costretta all’aborto, illegale in Polonia, all’età di dodici anni. In questo caso i giudici hanno condannato la Chiesa, ricorsa poi in appello, a risarcire la vittima di un milione di zloty, 250mila euro circa.

Una battaglia giuridica è però cosa ben diversa da una battaglia culturale. Se per vincere l’una ci sono voluti degli anni, per vincere l’altra potrebbero volerci decenni. Non solo per quel 90% di polacchi che si dichiara «fervente cattolico», ma per ciò che la Chiesa rappresenta per il Paese.

«Fin dal Romanticismo la Chiesa è stata per i polacchi uno scudo contro le forze antagoniste che la circondavano a Ovest e a Est, la Germania protestante e la Russia ortodossa, la Germania nazista e la Russia comunista» spiega Stanislaw Obirek, ex gesuita, vittima in passato di pedofilia, ora professore all’American Studies Center di Varsavia.

Una narrazione, rafforzata dal papato di Karol Woytyla, che ha finito con il far coincidere la Chiesa con l’identità nazionale. Lo scandalo pedofilia ha travolto tutto questo. «Da un lato – commenta Obirek – c’è il bisogno di fare chiarezza su questo lato oscuro della Chiesa e sulle accuse rivolte a papa Giovanni Paolo II di aver ignorato le denunce di abusi sessuali sui minori. Dall’altro sono scattati nel clero polacco dei meccanismi di difesa che hanno fatto gridare a un attacco alla Chiesa e alla Nazione».

Dei meccanismi che si sono tradotti in una violenta campagna condotta da ambienti di destra vicini al PiS che proprio nella Chiesa ha trovato il suo maggior alleato. Per il momento questa campagna si sta rivelando vincente. Il documentario Tylko nie mow nikomu lanciato a due settimane dalle europee di maggio, non ha prodotto alcun impatto negativo sulla creatura sovranista di Kaczynski.

Eppure secondo Obirek questa saldatura tra la Chiesa e il Pis è un’illusione destinata a sgretolarsi, travolta non solo dallo scandalo pedofilia, ma anche dal processo di secolarizzazione che investe la Polonia tanto quanto gli altri Stati dell’Occidente. «Quando ero studente negli anni Settanta – conclude Obirek – sembrava impossibile che un giorno il comunismo sarebbe crollato. Eppure li avvertivi gli scricchiolii di un mondo che stava lì per franare, quegli stessi scricchiolii che i leader sovietici non volevano ascoltare. Ecco, oggi la Chiesa polacca assomiglia un po’ all’Urss ai tempi di Breznev. E chissà che papa Francesco non sia il nuovo Gorbaciov».