Un giornale storico della sinistra, l’Unità, chiuso nel giugno del 2017, che ancora non trova pace. Come non la trovano i lavoratori, una trentina, che da gennaio 2022 non ricevano più alcun ammortizzatore sociale, e neppure lavorano, pur essendo a tutti gli effetti ancora dipendenti di Unità srl, la società nata dal 2015 – sull’onda del turborenzismo – ad opera del duo costituito dal costruttore Massimo Pessina e da Guido Stefanelli.

Ieri, per la quinta volta, è uscito un numero del quotidiano fondato da Gramsci: succede dal 2018, è l’unico modo per i proprietari di tenersi la testata, l’unico valore reale dell’azienda. É uscito con la firma di Luca Falcone, dipendente del gruppo Pessina (nel 2019 il “direttore per un giorno” fu il destrissimo Maurizio Belpietro). Il numero è uscito senza che i giornalisti fossero coinvolti in alcun modo. La sera di lunedì una mail ha annunciato al cdr che il giorno dopo l’Unità sarebbe tornata in edicola.

La società è in concordato presso il tribunale fallimentare di Roma, che ha ricevuto un piano da parte di Unità srl ma non si è ancora pronunciato sul destino dell’azienda e della testata (anche se la procedura è aperta dall’inizio del 2021). Rinvii su rinvii.

«La vicenda merita un intervento immediato e deciso da parte delle autorità competenti. A cominciare dal giudice fallimentare», spiega la Fnsi, che definisce «gravissimo» aver portato il quotidiano in edicola senza l’apporto dei suoi giornalisti. Fnsi Stampa romana e cdr affermano di non riuscire più ad avere contatti con l’azienda che «oppone un muro di gomma ad ogni nostra richiesta», dicono i giornalisti.

«Un’azienda che tiene in ostaggio giornalisti e poligrafici, confinandoli in un girone infernale, sospesi nel nulla, dal 1 gennaio 2022 senza più alcuna protezione sociale», scrive il cdr. «Da tempo abbiamo perso le parole per definire, raccontare, una condizione allucinante, umiliante. Una vicenda che da tempo ha ormai travalicato la red line della vergogna», spiega ancora il cdr, che accusa la società di aver «lasciato cadere manifestazioni di interesse per l’acquisto».

«Non si capisce per quale ragione un’azienda così malmessa rifiuti le offerte di acquisto che le arrivano sul tavolo», protesta il segretario di Stampa Romana Lazzaro Pappagallo che definisce la vicenda come un «teatro dell’assurdo».

Nel 2018 era stato Michele Santoro a sondare Pessina e Stefanelli: fumata nera. Poi era toccato a Piero Sansonetti, storica firma de l’Unità oggi alla guida del Riformista. «Ho fatto svariate proposte che sono state respinte», spiega al manifesto. L’ultima all’inizio del 2022. Sansonetti si è rivolto direttamente al commissario nominato dal tribunale. «Lui mi ha spiegato che ogni decisione è nelle mani del giudice, e che per ora la mia proposta non può essere accettata».

Sansonetti aveva proposto di rilevare la testata e non l’azienda con tutti i dipendenti (e i debiti). «Ma nella mia offerta era previsto di liquidare i dipendenti con tutto il dovuto», spiega. Ieri, l’ennesima beffa. Sull’ultima pagina una foto storica e la scritta a caratteri cubitali: «Aspettateci!»