Samson Kolecko è poco più di un ragazzo, indossa ancora il cappotto del liceo, quando per le strade di Kiev lui e suo padre sono vittime di un assalto dei cosacchi. Perderà un orecchio, reciso di netto da un colpo di sciabola, mentre l’uomo, proprio nel tentativo di difendere il figlio, resterà ucciso. È la primavera del 1919 e le strade della capitale ucraina sono ostaggio della violenza da quando, l’anno precedente, le truppe bolsceviche sono entrate nel Paese per rispondere alla dichiarazione d’indipendenza locale, per altro ispirata dagli ambienti della sinistra e le cose sono decisamente precipitate coinvolgendo in quella che è a un tempo una guerra civile e un conflitto che coinvolge anche eserciti stranieri, i russi ma anche gli austro-tedeschi, a spese prima di tutto dei civili.

Lo scenario che fa da sfondo a L’orecchio di Kiev (Marsilio, pp. 286, euro 19, traduzione di Claudia Zonghetti) di Andrei Kurkov, uno dei maggiori scrittori ucraini contemporanei, sembra indagare in qualche modo il presente facendo appello al passato. Al centro del romanzo, candidato al Premio Strega Europeo e primo capitolo di una trilogia, il giovane Samson scoprirà in sé delle doti di investigatore, finendo per smascherare gli affari loschi che hanno luogo durante l’occupazione della città da parte dell’Armata rossa. Una trama tra il picaresco e il noir che grazie alla scrittura sognante di Kurkov racconta l’anima di una città e la capacità di resistere dei suoi abitanti.

La presentazione si svolgerà al Salone di Torino sabato 20 alle 18,15 presso il padiglione 3 area esterna, Ala bianca, con l’autore e Wlodek Goldkorn.

Con questo romanzo inaugura un nuovo ciclo narrativo ambientato nell’Ucraina dei primi decenni del ’900, tra lotta per l’indipendenza, occupazione sovietica e guerra civile. Da cosa nasce questa scelta?
Un’amica mi ha fatto un regalo straordinario: la raccolta di documenti di suo padre tratta dagli archivi della polizia di Kiev dell’epoca. Non ho potuto fare a meno di rimanere affascinato da quelle carte e dal mondo da cui provenivano – una realtà violenta dove le forze dell’ordine locali, spesso controllate dalla Ceka – la polizia politica sovietica – cercavano di imporre il proprio ordine utilizzando nuove regole e leggi che a volte sembravano del tutto surreali. Inoltre, pochi sanno che mentre in Russia la guerra civile che seguì la rivoluzione del 1917 fu tra l’Armata rossa e l’Armata bianca, in Ucraina c’erano ben sei eserciti in lotta tra loro, città dopo città. La stessa Kiev fu conquistata e persa dai bolscevichi tre volte prima che ne prendessero definitivamente il controllo. In questa situazione, per diversi anni gli abitanti non seppero chi avrebbe preso l’indomani il potere nella principale città dell’Ucraina.

Il romanzo è ricco di dettagli sulla città dell’epoca che rivive per il lettore pagina dopo pagina insieme al clima che si respirava in quel momento e ai sentimenti della popolazione. Come ha ricostruito tutto ciò, a prima vista sembra un lavoro degno di uno storico?
Come dicevo, mi sono basato su documenti dell’epoca quando ho iniziato a pensare a questa nuova trilogia e, sì, devo ammettere anch’io che stavo facendo in qualche modo un lavoro da storico. Ho svolto molte ricerche, consultando giornali, riviste, memorie e diari del periodo, compresi quelli redatti dagli scrittori Konstantin Paustovsky e Vladimir Korolenko. Ho avuto accesso agli archivi del Museo Nazionale di Storia della Medicina dell’Ucraina, il cui edificio fu utilizzato tra il 1918 e il 1921 come obitorio per le persone uccise nel centro di Kiev. Da studente di medicina, Mikhail Bulgakov lo frequentava e lo descrisse ne La guardia bianca.

Samson è decisamente un eroe riluttante, all’inizio appare ingenuo e timoroso, ma poi pian piano sembra inseguire una propria idea di giustizia e legalità. Come è nato il personaggio e cosa rappresenta per lei?
Penso che Samson abbia qualcosa in comune con molti dei miei eroi del periodo sovietico. Se il personaggio ha una coscienza, non ha altra scelta che costruire un quadro di giustizia personale perché la società sovietica non lo offriva. In tale contesto, lui poteva anche non essere motivato personalmente a lavorare per la polizia, ma le circostanze lo costringono a scegliere questo ruolo per proteggere se stesso e gli altri dal caos del crimine e della guerra civile.

Il protagonista perde un orecchio per un colpo di spada di un cosacco, lo nasconde in una scatola e continua ad ascoltare ciò che viene detto nel luogo in cui lo ha riposto. Nel pieno di una guerra, lei introduce un elemento fantastico, quasi un suo marchio di fabbrica narrativo. Un modo per rendere meno drammatiche le sofferenze inflitte ai personaggi, conservare la speranza e lo stupore dell’infanzia di fronte ai fatti della vita?
Devo dire che mi riconosco appieno in questa analisi del mio lavoro. Sì, faccio spesso ricorso allo humor nero e all’ironia e a questi elementi surreali per rendere gli eventi descritti un po’ meno drammatici. Ed è anche vero che fin dall’inizio le regole sovietiche erano piuttosto surreali: regole spesso inventate da persone non istruite che sono state poste a capo di città e province controllate dall’Armata rossa: persone che in seguito divennero politici e statisti sovietici.

«L’orecchio di Kiev» si trasforma progressivamente in un romanzo dai toni polizieschi, dove Samson indaga su verità anche scomode nel contesto oppressivo che domina la città. Queste indagini rivelano le contraddizioni che nasconde la «verità» del potere?
Ero tentato di mostrare tutte le possibili contraddizioni che esistevano a quel tempo in seno alla società ucraina, ma sarebbe stato pressoché impossibile visto che si tratta di un romanzo e non di un saggio. Quindi descriverei l’esito del libro soprattutto come il viaggio personale di Samson, non una protesta sociale o un tentativo di cambiare le cose a livello globale. Una storia di adattamento e accoglienza: come brave e oneste persone stessero imparando ad adottare nuove regole e, allo stesso tempo, facessero del loro meglio per rimanere giuste e rette. Le indagini su cui lavora Samson sono state ispirate dai documenti d’archivio e consentono al personaggio, come ai lettori, di respirare il clima e la vita nella Kiev dell’epoca e tutte le assurdità frutto del cambio di direzione della società che veniva imposto dall’alto.

Nadezda, la fidanzata di Samson che lavora nell’ufficio del censimento, descrive, cifre alla mano, le diverse comunità che vivevano all’epoca in città: è un ritratto plurale della capitale ucraina che vale anche per la realtà odierna?
Allora, Kiev era una realtà multiculturale. C’erano attive comunità d’affari straniere, imbroglioni e aristocratici internazionali, molti medici stranieri e via dicendo. Oggi è un po’ diverso, ma la cosa incredibile è che molti espatriati che hanno lasciato la città all’inizio della guerra sono tornati e stanno cercando di ripristinare proprio qualcosa di simile alla Kiev cosmopolita di un tempo. Naturalmente, settant’anni di dominio sovietico hanno reso la città meno varia e plurale: un contesto che ha dominato la scena fino al 1991. Da allora, Kiev sta cercando di diventare di nuovo una città internazionale come lo era all’epoca del romanzo e questo mentre al contempo diventa anche molto più «ucraina» di quanto non fosse prima dell’indipendenza.

Andrei Kurkov

Difficile non chiedersi quanto la Kiev che è al centro del libro assomigli a quella oggetto di un attacco all’inizio dell’invasione russa due anni or sono e che ancora in questo momento fa i conti con una guerra spaventosa. Nel romanzo, come nella realtà, la città sembra voler ricercare una propria normalità in mezzo all’inferno. Fino a che punto ha scritto del passato pensando al presente?
Ho scritto «L’orecchio di Kiev» prima dell’invasione del 2022, ma dopo l’annessione della Crimea e la prima occupazione del Donbass. La guerra reale era sempre nella mia mente, ma non mi sembrava che la storia fosse strettamente collegata alla realtà odierna. Quando l’esercito russo ha attaccato Kiev il 24 febbraio 2022 dalla stessa direzione in cui l’Armata rossa ha attaccato Kiev nel 1918, ho già pensato che fosse una strana coincidenza. Ma quando il 10 ottobre le stesse strade del centro della città sono state bombardate come lo furono nel 1918 dal generale bolscevico Muraviov, capii che non si trattava di una semplice coincidenza. Tutto ciò è stato pianificato per dimostrare che l’Ucraina di oggi perderà questa guerra proprio come quella di un tempo l’ha persa contro l’Armata rossa nel 1918-1921. I parallelismi tra le due vicende sono molti non solo se parliamo di Kiev, ma soprattutto se guardiamo alle aree occupate nell’est del Paese. Per la gente di Mariupol, ad esempio, è probabilmente anche peggio adesso di quanto non fosse stato per quella di Kiev nel 1919. Le nuove autorità moscovite erano ansiose di affermare il controllo e quindi di costruire quella che pensavano fosse una società migliore. Oggi le autorità e l’esercito russo sono in Ucraina solo per controllare o distruggere.

Cosa significa per uno scrittore lavorare mentre il suo Paese affronta una guerra? A chi vorreste dedicare questo libro?
La guerra domina la mia vita quotidiana, come domina la vita della maggior parte degli ucraini. Difficile pensare ad altro. Voglio tornare a casa per finire il terzo capitolo della trilogia di Samson, ma è estremamente difficile concentrarsi su quello. Ma ci tornerò. Perciò, dedicherei questi romanzi alla gente di Kiev e ai rifugiati ucraini ovunque si trovino adesso. Spero che torneranno dopo la guerra. Ma prima di tutto le dediche vanno agli ucraini ordinari che difendono il nostro Paese e che, tra l’altro, chiedono alle persone di inviare loro, più che romanzi, libri sulla storia locale. Penso che vogliano capire meglio il Paese che stanno facendo di tutto per proteggere.