Eduard Limonov è da tempo rientrato in Russia, dopo il lungo tour italiano per la promozione dell’ultima sua fatica letteraria: Zona Industriale (Sandro Teti editore, pp. 230, euro 16). Si affacciava in occidente dopo vent’anni di assenza, anche se nel 2014 aveva fatto parlare di sé, ancora una volta, grazie a Emmanuel Carrère e al suo romanzo uscito per Adelphi. Del resto, il personaggio – nella doppia veste di se stesso e quel che interpreta – ha sempre attirato molta curiosità. Giovane dissidente nell’Urss di Breznev, Limonov, emigrò negli Stati Uniti nel 1974 e qui ha dato alle stampe il suo primo romanzo Ja Edicka (uscito in Italia presso Frassinelli con il titolo Il poeta russo preferisce i grandi negri), frequentando la sede del trotskista Socialist Workers’ Party.
Negli anni Ottanta si è trasferito a Parigi e dopo aver collaborato con l’Humanité si è spostato su posizioni politiche «rosso-brune». Nel 1992 è rientrato in Russia ma subito è andato nella ex-Jugoslavia per combattere a fianco delle milizie serbe. Tornato nel suo paese, ha fondato il Partito nazionalboscevico che si è contraddistinto per vitalismo, culto dell’azione esemplare, estetismo punk. Arrestato dalla polizia russa dopo aver tentato di costituire una comunità armata nell’Altaj, ha scontato due anni di prigione. Autore prolifico, è stato legato sentimentalmente alla nota attrice russa Ekaterina Volkova da cui ha avuto due figli.

«Zona Industriale» è stato pubblicato in Russia nel 2012 quando il potere di Putin era stato messo in discussione dal movimento anti brogli «Bol’ontnij». Come vede Putin oggi, dopo diciassette anni di potere?
Il problema della durata del potere putiniano per me non esiste. Non è detto che ci debba essere un’alternanza, né quanto un presidente debba rimanere al potere. Il leader deve essere prima di tutto un uomo efficace. A mio parere, per quanto possa essere paradossale, invece Putin è un governante debole e incerto. Lascerà alla prossima generazione molti problemi irrisolti, per esempio, un’Ucraina incattivita al nostro confine occidentale, oltre a un regime di capitalismo oligarchico. Sono per l’uguaglianza e per rimettere in discussione tutte le privatizzazioni realizzate. Oggi la Russia è il paese con uno dei tassi più alti di diseguaglianza sociale. Non ho sostenuto il movimento di Bol’otnij perché è stato tradito da chi lo guidava. In particolare, l’11 dicembre 2011 il corteo fu spinto lontano da Piazza della Rivoluzione, quando eravamo a solo duecento/trecento metri dai centri del potere.

I personaggi femminili nei suoi romanzi autobiografici sono sempre brillanti, ricchi, interessanti. In «Zona Industriale» ne incontriamo ben tre, tra cui Ekaterina Volkova. Ci può illustrare come evolve il suo rapporto con quell’universo a parte?
Le donne di cui racconto sono semplicemente quelle in cui mi sono imbattuto. E le ho scelte. Si tratta di individualità difficili che vengono scelte raramente. Ma io l’ho fatto. Il mio non è certo un libro incentrato su Ekaterina Volkova. In realtà, affronta la mia insoddisfazione nelle relazioni con le donne. Nel romanzo, il protagonista cerca la sua compagna. E alla fine resta solo. Io vivo da solo e non m’interesso né della vita della mia ex moglie né di quella dei miei figli. Ai militanti nazionalbolscevichi dico: «I tuoi figli saranno peggio di te!». Vorrei però sfatare il mito che scriva solo romanzi autobiografici: nella mia produzione ce ne sono anche di altro genere.

Il libro prende in esame anche i processi di gentrificazione del centro di Mosca. È una narrazione che mette al suo centro il rimodellamento del tessuto urbano e l’espulsione della sua cittadinanza operaia…
In tutta Europa, fino a non molto tempo fa, i figli dei ceti popolari e di quelli benestanti crescevano a contatto tra loro e in zone adiacenti. Imparavano a conoscersi e a confrontarsi, seppur in modo conflittuale. Ora vivono in mondi sempre più separati e lontani. Credo sia questo l’elemento più desolante della gentrificazione.

Ci sono alcuni scrittori russi che più l’hanno ispirata rispetto ad altri?
Si tratta di tre autori che non rientrano nella tradizione del mio pensiero. Mi hanno spesso influenzato il grande Gogol, il poeta futurista Velimir Khlebnikov e il filosofo Konstantin Leontiev.

Nelle sue ultime dichiarazioni ha sostenuto che lei oggi è più interessato al pensiero di Malthus che a quelli di Evola, Nietzsche e Marx che pure l’hanno influenzata nella sua vita. Ce ne può spiegare i motivi?
Credo che Malthus sia diventato molto attuale. Ha sostenuto che l’umanità è sempre più minacciata dalla mancanza di risorse. Mentre Nietzsche, Evola e Marx hanno costruito i loro sistemi sulla preferenza di alcuni modelli di organizzazione delle società umane. Si sono concentrati su gruppi umani e classi sociali omogenei. Marx non prevedeva, e non poteva forse farlo, la scarsità di acqua potabile sul pianeta. Marx e Evola hanno immaginato con lungimiranza e enfasi la lotta tra comunità umane, ma oggi vediamo che è assai più importante il confronto tra l’individuo nel suo complesso e il pianeta che abita.

SCHEDA

Mosca anni, primi anni 2000. Lo sfondo è l’ex quartiere operaio Syry in via di gentifricazione ma di notte ancora popolato da branchi di cani randagi e da prostitute attempate. Il palcoscenico, due stanze modeste collegate da un corridoio ricoperto da un triste linoleum a fiori in cui abita il protagonista. In questo spazio inerte, da pièce teatrale, si ambienta gran parte di Zona Industriale il romanzo autobiografico di Eduard Limonov. Poi ci sono tre donne, tre sue amanti, diversissime tra loro: una giovinetta militante del Partito nazionalbolscevico già appesanta dai chili di troppo, una moglie attrice di successo che fuma erba e vuole diventar mamma e Lola, una spogliarellista di San Pietroburgo quasi diafana malgrado le conturbanti curve e i lineamenti volgari. E nel malconcio universo limonoviano trova posto anche Krys, un topo bianco, l’unico coinquilino con cui lo scrittore riesce a costruire un rapporto non conflittuale. Donne e politica. Politica di strada tra i movimenti antiputiniani dell’epoca dove si incrociano il tardo-staliniano Gennady Zjuganov e l’ex campione mondiale di scacchi Garty Kasparov. Nella perfetta triangolazione dell’universo maschile più sciovinista oltre a donne e politica mancherebbero solo i motori, che invece non mancano. Come in un fumetto postmoderno eccoli qui gli inseguimenti in placidi pomeriggi domenicali moscoviti tra berline «Volga» della polizia e scassate «Zyguli», 124 Fiat costruite a Togliattigrad, delle milizie nazionalbolsceviche.
Ritornano ancora in questo romanzo reminiscenze di altri momenti della vita e rimandi ad altre storie di Limonov, come in quelle saghe in cui il lettore trova modo di potersi affezionare a situazioni già conosciute: la gioventù scapestrata nella Kharkov proletaria del secondo dopoguerra, la vita bohemien nella Parigi degli anni ’80, il cielo di ferro dei giorni dell’insurrezione anti-eltsiniana del 1993, punteggiano una narrazione che resta sospesa tra prosaica quotidianità e Storia.
Romanzo punk, tagliente e comico e in alcuni passaggi melanconico, Zona Industriale è «tutto il Limonov che conta». Sicuramente una delle sue migliori performance degli ultimi anni, nel quadro di una produzione sin troppo abbondante (settantadue libri in carriera con una media di quattro titoli negli ultimi anni anni). Limonov ha la capacità non scontata di saper rappresentare la caducità del presente in un modo in cui neppure la biografia di Carrère è riuscita a trasmettere completamente.
Per chi ancora non lo conoscesse, Zona Industriale è un ottimo vademecum per avvicinarsi alla sua opera.