Tutti i libici sono consapevoli di abitare sopra un enorme mare sotterraneo di petrolio di ottima qualità: a basso contenuto di zolfo, un oceano oleoso molto più grande di quello già sfruttato, che già prima della guerra copriva il 2% della produzione mondiale.

Ma sarà di certo con qualche consapevolezza in più di questa posta in palio che si riuniranno a metà aprile a Ghadames, al confine con l’Algeria, per la tanto attesa conferenza nazionale libica da cui dovrà uscire la data delle elezioni e il percorso per mettere fine alla lunga e travagliata epoca della «transizione» post-gheddafina, una sorta di guerra civile a bassa intensità che li accompagna dal 2011.

Perché Ghadames, l’antica e splendida città berbera un tempo mecca del turismo libico, scelta come luogo dove dovrà tenersi tra il 14 e il 16 aprile prossimo dall’inviato speciale delle Nazioni Unite Ghassam Salamè, è anche un enorme bacino di idrocarburi che attende dal 2004 di essere sfruttato con pozzi di esplorazione e già due pipeline pronte per portare il pregiato oro nero, e il gas, direttamente alla raffineria e al porto di Tripoli.

L’annuncio della data e del luogo della multaqa al watani, la conferenza nazionale, è stato dato ieri mattina con una conferenza stampa a Tripoli dallo stesso Salamé, a dieci mesi dalla conferenza di Parigi e a quattro da quella di Palermo. Francia, Italia, Gran Bretagna, Stati uniti, i quattro paesi occidentali che oltre alla Russia, hanno più interessi petroliferi in Libia non parteciperanno.

Sarà una conferenza solo per i libici: deputati dei due parlamenti rivali (Tripoli e Tobruk), ma anche capi tribù, giovani, rappresentanti delle istituzioni economiche statali, come ha chiarito giorni fa a Roma l’ambasciatore libico in Italia Omar Tarhoumi. Si calcola che si riuniranno in «conclave» nella bianca Ghadames dai 120 ai 150 rappresentanti del popolo libico, chiamati a una sorta di Loja Jirga per definire le tappe per uscire dall’instabilità e come andare a elezioni generali, presidenziali e municipali entro la fine dell’anno. Alla fine, ha spiegato Salamè, saranno chiamati a esprimersi su due diversi scenari per risolvere le numerose questioni rimaste aperte su nuova costituzione e referendum, preparati dall’Unsmil, la missione Onu in Libia.

Salamè, rispondendo alla domanda di un giornalista libico su cosa potrebbe succedere se questa conferenza fallisse, è stato nel contempo laconico e chiarissimo: «Non mi faccia questa domanda, non c’è un’alternativa al successo della conferenza e comunque nessuna delle parti ha interesse che fallisca».

Il ministro degli Esteri francese Jean-Yves Le Drian lunedì e martedì scorsi è volato in Libia, prima a Tripoli ospite del premier Fayez Serraj insieme a Ghassam Salamè e poi a Bengasi per abbracciare, molto più calorosamente, il generale cirenaico Khalifa Belqasim Haftar. Come a voler intestarsi questi ultimi sviluppi dell’affaire libico, Le Drian ha anche annunciato – per ora però senza grandi conferme – che a breve nascerà anche un nuovo governo di transizione.

L’intesa per superare l’attuale esecutivo Serraj, che non ha mai goduto della fiducia della Cirenaica, sarebbe stata – a detta di Le Drian – raggiunta in un incontro tra Serraj e Haftar, presente anche Salamé, ad Abu Dhabi il 27 febbraio. L’inviato Onu ieri però ha glissato su questo. Ha detto che l’incontro tra i due negli Emirati c’è effettivamente stato, lui presente come testimone, ma che si tratta solo del sesto faccia a faccia tra Serraj e Haftar e che ne seguiranno altri.

Mentre Le Drian era dall’amico Haftar, non è passata inosservata la visita nell’ufficio di Serraj a Tripoli dell’incaricato d’affari statunitense in Libia Peter Bodi, accompagnato nientemeno che dal comandante in capo delle truppe americane in Africa (Africom) Thomas Waldhauser. Anche perché i due sono scesi da due elicotteri militari con sorvolo di caccia sulla capitale libica.

Hanno promesso al debole premier di Tripoli un altro mezzo milione di dollari che vanno ad aggiungersi ai 30 milioni già «donati» dagli Usa per «garantire la sicurezza» e lo svolgimento delle prossime tappe politiche per «garantire la stabilità del Paese», e hanno chiarito che non ci dovrà essere alcuna epurazione dei capi delle milizie.

Quanto agli italiani, l’ambasciatore Giovanni Buccino Grimaldi era in questi giorni impegnato in un’attività di basso profilo ma non priva di significato: assicurare l’appalto per l’ammodernamento dell’autostrada in ottemperanza all’accordo post-coloniale Italo-Libico firmato da Gheddafi e Berlusconi nel 2008.

Ma a Ghadames fischieranno le orecchie al presidente dell’Eni Claudio Descalzi che nell’ottobre scorso si è aggiudicato la metà (42,5%) dell’85% (il restante 15% è in mano al fondo sovrano Lia per ora congelato) di tre enormi campi petroliferi da esplorare della Bp, due a Ghadames, appunto, e uno al largo di Sirte. Se andrà bene la conferenza, i pozzi potranno entrare in funzione entro l’anno, di pari passo con le elezioni.