La parola chiave del 25 aprile è per me Liberazione. Non solo perché, pur con idee diverse, donne e uomini scelsero la Resistenza divenendo partigiani e liberarono l’Italia dal fascismo, fecero la costituzione e costruirono la democrazia. Ma anche perché questa parola ha avuto un grande significato nella storia successiva sia nel nostro paese sia nel mondo. Liberazione significò la lotta dei neri contro la discriminazione razziale.

Liberazione significò e significa la lotta delle donne. Liberazione comporta non solo libertà per tutti e dunque una pratica che rispetti quella degli altri, ma anche l’affermazione della diversità di ciascuno di noi, che può essere realmente conseguita soltanto se vi è eguaglianza e la realizzazione dell’eguaglianza che ha senso soltanto se può assicurare la libera individualità di ciascuno di noi. Liberazione significa uno sguardo sul futuro che riscatta il passato e con esso i vinti, i dimenticati, gli offesi.

Non si torna indietro per ripetere ciò che è stato fatto, ma, al contrario, per non ripeterlo. Se e quando ci libereremo dal coronavirus, Liberazione dovrà significare due passi in avanti e non un passo indietro. Se la patologia è un ingrandimento del normale, allora dobbiamo dire, come del resto è stato giustamente detto, che finora è stata la normalità a mostrarsi come patologica. Liberazione significa che non si è e non si potrà essere mai più come prima: il futuro e il passato devono tornare a riconquistare un presente che finora ha saputo solo ripetere stolidamente e bulinicamente sé stesso.

La poesia della vita deve ritrovare il senso della storia. Abbiamo perso l’una e l’altro. Ma, a ben pensarci, vale davvero la pena lottare per meno? Vi è niente di più realistico della poesia della vita di fronte a una crisi che dobbiamo ancora affrontare? Se ci attesteremo alla sola idea di sopravvivenza, non sopravviveremo, e, soprattutto, non sopravviveranno per primi gli affamati e gli oppressi. Se prevarrà la competizione alla cooperazione, quella legge della giungla che è il mercato riproporrà con ancora più forza ciò che viene chiamata lotta per l’esistenza, cioè il grande scenario virilista della sopravvivenza del più forte che si sente vivo solo se vi è la morte di un altro.

Ma non basterà la critica a questo scenario dentro cui recitiamo tutti i giorni, sarà necessaria la poesia della vita in lotta contro la prosa della sopravvivenza. Al contrario di ciò che pensava Platone, noi, dopo averli incoronati, non cacceremo i poeti e la poesia, li terremo con noi, accanto a noi che intanto stiamo cercando di capire nei nostri dettagli della vita cosa è davvero importante e cosa no. Un giorno poi, faremo i conti, lo dovremo fare senza ipocrisie e senza infingimenti, con un’altra parola chiave: Rivoluzione. Quale rapporto ha con Liberazione e quanto di sbagliato è stato pur fatto in nome dell’una e dell’altra parola. Ma non lo faremo oggi che è un giorno di festa.