La presidenza del Mali ha salutato, in un comunicato ufficiale di sabato sera, la liberazione di suor Gloria Cecilia Narvaez, rapita il 7 febbraio 2017 vicino a Koutiala, 400 km a est di Bamako. La religiosa colombiana appartenente all’ordine dei Francescani di Maria Immacolata era missionaria nella parrocchia di Karangasso con altre tre suore. Al momento del rapimento si era offerta in ostaggio, come hanno riportato le sue consorelle, al posto di due suore più giovani.

Una fonte anonima vicina ai servizi maliani ha dichiarato all’Afp che la suora «era nelle mani di una banda legata al Gruppo di Sostegno all’Islam e ai musulmani (Gsim)», affiliato ad Al Qaeda, e che «la suora non è stata maltrattata durante la sua detenzione». Non sono stati forniti ulteriori dettagli riguardo al negoziato durato «diversi mesi», anche se, come ha riportato ieri Radio France International (Rfi), la liberazione sarebbe stata «sostenuta dal Vaticano», grazie alla mediazione della Comunità di Sant’Egidio con un incontro avvenuto lo scorso agosto a Bamako.

Apparsa accanto al presidente ad interim, il colonnello Assimi Goïta, e all’arcivescovo di Bamako monsignor Jean Zerbo, la missionaria è stata portata sabato sera a Bamako e domenica ha preso un volo per Roma, dove è stata ricevuta da Papa Francesco. In un messaggio su Twitter, Goïta ha affermato che questo rilascio è «il coronamento di 4 anni e 8 mesi di sforzi congiunti tra i diversi servizi di intelligence», confermando che «il governo maliano continuerà la collaborazione con tutti i paesi coinvolti nella lotta al jihadismo, per la liberazione di tutti gli ostaggi maliani e stranieri».

Un riferimento neanche tanto velato allo sorte del giornalista francese Olivier Dubois, rapito lo scorso aprile nella zona settentrionale del Mali vicino a Gao, e alle possibili ripercussioni sulle trattative a causa delle recenti tensioni diplomatiche tra Parigi e Bamako. Da fine settembre il tono tra i due paesi è salito visto che Parigi non ha apprezzato affatto le discussioni avviate da Bamako con il governo russo e la società di sicurezza Wagner.

Recentemente il presidente francese Macron ha reagito con forza alle parole del primo ministro maliano, Choguel Maïga, che ha definito «abbandono» il graduale ritiro delle truppe di Barkhane nel nord del Mali.

L’ultimo messaggio di Dubois è stato trasmesso il 5 maggio con un breve video di 20 secondi nel quale il giornalista, vestito con una tunica tradizionale, confermava di «essere ostaggio dello Gsim». Dichiarazione che ha destato meno preoccupazione negli apparati di intelligence: l’organizzazione, guidata dal maliano Iyad Ag Ghaly, è molto più propensa alla liberazione di ostaggi come forma di «finanziamento», in confronto allo Stato Islamico del Gran Sahara che nell’agosto 2020 aveva brutalmente ucciso sei cooperanti francesi, le loro guide e gli autisti nigerini.

Dopo il rapimento del giornalista francese è stato formato il comitato di supporto #FreeOlivierDubois, che da allora ha moltiplicato le azioni di sensibilizzazione e di vicinanza alla sua compagna Deborah Al Hawi Al Masri e ai suoi due figli.

«È molto complicato trarre conclusioni perché questa tensione è un fattore di ansia per tutti – ha recentemente affermato Marc de Boni, membro del comitato di supporto – ma quando Sophie Pétronin è stata rilasciata, anche le relazioni tra Francia e Mali non erano buone. A sei mesi dal rapimento di Olivier, la speranza è ancora grande».