L’ennesimo paradosso che vive il Libano è quello di dover rapinare una banca per riprendersi i propri risparmi.
Shehim, nello Chouf, il luogotenente Serhal spara vari colpi nella sede di BankMed. Ramlet el-Bayda, Beirut, Jawad Slim entra armato alla Lebanon and Gulf Bank (LGB). Tareq-el Jdideh, Beirut, Abed Soubra, armato, BankMed. Kafaat, sobborgo a sud di Beirut, Mohammad Moussaoui, poi scomparso, con una pistola di plastica prende 20mila dollari nella sede della Lebanese French Bank. Ghazieh, sud del Libano, Mohammad Korkomaz e suo figlio, poi arrestati, si fanno consegnare 19,200 dollari dei loro 20mila da Byblos Bank.

La richiesta è la stessa: avere accesso ai proprio risparmi, a parte di essi, prelevarli o in dollari o in lire al valore di mercato (oltre 38mila per un dollaro) e non a quello di cambio della banca (poco oltre le 29mila). Storie simili: familiari malati che necessitano cure urgenti. In Libano la sanità è interamente privata e con la crisi ai familiari viene chiesto di procurarsi anche i medicinali più banali come l’antibiotico, perché gli ospedali non hanno i soldi per comprarli.

Mercoledì era stata la volta di Sali Hafiz, pistola di plastica alla mano, filiale di Blom Bank nella centralissima Sodeco, Beirut, e di un altro uomo armato ad Aley, a pochi chilometri dalla capitale. Stessa scena l’11 agosto scorso, Bassam Cheikh Hussein si barrica armato nella filiale di Hamra di Federal Bank, Beirut, minacciando di darsi fuoco.

A coordinare e incoraggiare gli atti le associazioni Mouttahidoun (Uniti) e Il Grido dei Correntisti, conferma l’avvocato Ollaik durante la conferenza stampa di ieri. Nell’ottobre 2019 i conti bancari sono stati congelati, quando è saltato lo schema Ponzi creato da Raid Salameh, uomo di Rafiq Hariri e governatore da trent’anni della Banca del Libano, accusato con il fratello in patria e in Europa di riciclaggio di denaro attraverso paradisi fiscali.

La crisi economico-finanziaria più pesante della storia libanese è anche una crisi di nervi, oltre che una crisi politica. Nei giorni scorsi sono stati tolti gli ultimi sussidi sulla benzina in un paese dove trasporto persone e merci è interamente su gomma. Da oltre due anni l’elettricità, prodotta a diesel, viene razionata perché Électricité du Liban, pubblica a partecipazione privata, non riesce a fornire abbastanza energia al paese. I generatori privati di quartiere, gestiti con veri e propri metodi mafiosi, hanno prezzi proibitivi e nemmeno riescono a compensare.

L’inflazione non ha precedenti e la lira è ogni giorno di più carta straccia. La dollarizzazione del mercato interno ed esterno, assieme a un’economia basata sul terziario – l’80% del fabbisogno nazionale di beni di prima e seconda necessità viene importato – fanno del Libano un paese in balia del mercato e di una speculazione incontrollata. La classe media si impoverisce ogni giorno di più, mentre quella povera è ormai alla disperazione.

Le tanto attese elezioni del 15 maggio hanno sì fornito un dato politico importante, soprattutto all’interno della comunità cristiana – in Libano il capo dello stato è cristiano maronita, il primo ministro sunnita e il portavoce del parlamento sciita – con un rafforzamento della destra nazionalista cristiana, le Forze Libanesi di Geagea, avversarie del Movimento Patriottico del presidente Aoun e del loro alleato Hezbollah, non hanno però portato a nessuna decisione risolutiva della crisi.

Si attende il giro di boa del fine mandato di Aoun il 31 ottobre in un clima di fuoco. Le banche saranno chiuse nei prossimi giorni nel tentativo di smorzare una tensione sociale che non accenna però a scemare.