L’Italia, l’Ungheria e la Polonia sono le pecore nere dell’Europa riguardo ai diritti e al rispetto delle persone Lgbtqi. O meglio: lo sono i loro «influenti leader politici e governi» attuali, che diffondono la «retorica anti-diritti, anti-gender e anti-Lgbtiq». Il Parlamento europeo in seduta plenaria, ieri a Strasburgo, lo ha scritto nero su bianco in un emendamento presentato dai Verdi alla risoluzione per la depenalizzazione universale dell’omosessualità, varata alla luce dei recenti sviluppi in Uganda.

ALLA «FORTE CONDANNA» della legge che in Uganda introduce la pena di morte, l’ergastolo e più di 20 anni di carcere per i “reati di omosessualità”, e della «retorica d’odio» del dittatore ugandese Yoweri Museveni, il Parlamento europeo ha aggiunto il testo presentato da Kim Van Sparrentak a nome del gruppo Verts/Ale e da Malin Björk a nome di Left. Cosicché il paragrafo 19 della risoluzione, approvato per alzata di mano con 282 voti a favore, 235 contrari e 10 astenuti, afferma che il Parlamento europeo «esprime preoccupazione per gli attuali movimenti retorici anti-diritti, antigender e anti-Lgbtiq a livello globale, alimentati da alcuni leader politici e religiosi in tutto il mondo, anche nell’Ue; ritiene che tali movimenti ostacolino notevolmente gli sforzi volti a conseguire la depenalizzazione universale dell’omosessualità e dell’identità transgender, in quanto legittimano la retorica secondo cui le persone Lgbtiq sono un’ideologia anziché esseri umani; condanna fermamente la diffusione di tale retorica da parte di alcuni influenti leader politici e governi nell’Ue, come nel caso di Ungheria, Polonia e Italia».

IL PPE (cui fino a due anni fa apparteneva anche Fidesz, il partito di Orban) ha chiesto di votare separatamente la condanna dei tre Paesi, ma senza riuscire a evitare che Budapest, Varsavia e Roma fossero tutte inserite tra le problematiche che gli Stati membri sono chiamati ad affrontare: la risoluzione infatti li impegna a mobilitarsi dentro e fuori il continente per conseguire una «strategia europea per la depenalizzazione universale dell’omosessualità e dell’identità transgender».

AL VOTO FINALE, l’intera risoluzione è passata con 416 voti a favore, 62 contrari (la maggior parte di Ecr, il gruppo di Vox e di Fd’I, e di Identità e democrazia, a cui appartengono la Lega e il partito di Marine Le Pen) e 36 astenuti. Una minoranza del Ppe non ha votato a favore, con alcuni parlamentari che si sono astenuti, come le forziste Alessandra Mussolini e Isabella Adinolfi, e altri che si sono espressi per il «no», come Massimiliano Salini e Lucia Vuolo, sempre FI. D’altronde il gruppo dei Popolari europei aveva dato indicazione di non votare l’emendamento di condanna dell’Italia perché «estraneo allo scopo d’urgenza». E infatti i 235 «no» a quel documento, che accomuna il governo Meloni a quello di Viktor Orban nel campo dei diritti Lgbtqi e dei discorsi d’odio, dimostrano una spaccatura della maggioranza Ursula.

«QUESTO VOTO, con le destre divise – commenta l’europarlamentare verde Ignazio Corrao – ci racconta che nonostante la propaganda retrograda di cui si rendono protagonisti, anche i partiti di destra iniziano a comprendere che certe posizioni non sono tollerabili. Da italiano mi vergogno del fatto che tra quelli che hanno votato contro (quindi a favore del reato di omosessualità) ci siano esponenti dei partiti che governano in Italia».

Per le destre radicali italiane (e non solo) invece si tratta di uno «scandalo». «Una vergogna» essere affiancati all’Uganda, protestano la Lega e Fd’I soprattutto. Per esempio, l’eurodeputata di Ecr Chiara Gemma, che assicura «la nostra più ferma e totale condanna» alle leggi ugandesi, alla fine però ha votato contro la risoluzione perché, dice, si tratta di una «strumentalizzazione per attaccare il governo italiano». «Ma davvero pensano che nessuno in questi anni si sia accorto in Europa che una delle ossessioni della destra italiana è stata ed è dare addosso al mondo Lgbt?», è la risposta del segretario di Sinistra italiana Nicola Fratoianni.

PER L’ARCIGAY e tutte le associazioni Lgbtqi italiane invece è «molto, molto preoccupante» che il Parlamento europeo abbia affiancato l’Italia all’Ungheria e alla Polonia. Nessuno stupore però: «Basti pensare – ricorda il segretario dell’Arcigay, Piazzoni – alle numerosissime dichiarazioni della ministra alle Pari Opportunità, Eugenia Roccella». Piuttosto però, esortano le associazioni, ora occorrerebbe una riflessione generale anche da parte del governo. Per la vicepresidente M5S della Commissione politiche Ue del Senato, Dolores Bevilacqua, il voto di Strasburgo «certifica l’ingresso del nostro Paese in una Visegrad dei diritti civili».