Roma perde la corsa per l’Expo 2030 a vantaggio della strafavorita Riyad, che raccoglie 119 voti. La capitale italiana si ferma a 17 preferenze, superata anche dalla coreana Busan, che ne mette insieme 29.

LA SCENA che si para fin dal mattino davanti ai 182 diplomatici delegati al voto ((ma in 17 si asterranno) giunti alle porte di Parigi al Palais des Congrès di Issy-les-Moulineaux è di quelle grottesche: passano in mezzo a due ali di lobbisti e vengono presi d’assalto dai rappresentanti dei tre paesi che si contendono l’evento. La sfida tra Roma, Riyad e Busan appariva sbilanciata, soprattutto dal punto di vista economico. Basti pensare che gli italiani stimavano (con una previsione quantomeno generosa) che se l’evento fosse stato a Roma avrebbe mosso un giro di affari di circa 50 miliardi di euro. Ma i sauditi di miliardi veri ne ha già investiti 8 soltanto per prepararsi all’evento.

LA CITTADELLA romana dell’Expo era stata localizzata a Tor Vergata, alla periferia orientale, nell’area dove campeggiano le Vele di Calatrava che erano state messe in piedi per ospitare i mondiali di nuoto del 2009. Tutto lo spettro politico ha sostenuto la missione. Giorgia Meloni aveva spiegato invano in un videomessaggio che il progetto italiano era dedicato «al rapporto tra le persone e i territori, dà voce all’identità di ogni nazione». A Parigi c’era il sindaco di Roma Roberto Gualtieri, che dell’Expo 2030 aveva fatto uno dei pilastri in campagna elettorale (insieme al Giubileo del 2025) per risanare Roma e riassestare la città. Una sfida non da poco, visto che nella stragrande maggioranza dei casi i grandi eventi lasciano macerie speculative e un mare di debiti per le casse pubbliche. Intanto la Cgil, per bocca del segretario di Roma e del Lazio Natale di Cola, gli dice: «Bisogna voltare pagina, costruendo il dialogo con la città a partire dalla gestione del Giubileo e dell’imminente discussione sul bilancio comunale». «Abbiamo messo in campo un progetto bellissimo di riqualificazione di un intero quadrante della città, delle progettualità che vogliamo portare avanti lo stesso anche se con forme diverse», ribadisce Gualtieri.

ERA PARSA molto coinvolta anche la sua predecessora Virginia Raggi, di solito poco incline alle larghe intese ma nominata presidente della commissione per l’Expo del Campidoglio. Parlando prima del voto, aveva detto che scegliere Roma significava dire no «a un sistema che è quello di Riad basato sui soldi sostanzialmente, sul potete economico, sulla forza. Ci contrapponiamo a un regime dove i diritti civili e umani sono calpestati». In effetti, l’assegnazione dell’Expo rappresenta una vittoria del regime di Mohammed bin Salman, che secondo le stime di Amnesty International solo tra gennaio e ottobre di quest’anno ha mandato al patibolo 112 persone e che continua a reprimere ogni dissenso e limitare le libertà delle donne.

COSA NON HA funzionato, al di là dell’evidente sulla potenza di fuoco degli investimenti? Di sicuro il governo negli ultimi tempi è apparso un po’ freddo. Dietro la coltre della collaborazione istituzionale e del tifo da strapaese, col presidente della Regione Lazio Francesco Rocca che contro ogni scaramanzia annunciava che se avesse vinto Roma si sarebbe tagliato il pizzetto in diretta, ieri risaltava l’assenza della presidente del Consiglio, che prima pare avesse delegato alla sottosegretaria Maria Tripodi e poi ha spedito in Francia il ministro dello sport Andrea Abodi.

SE POI SI PROVA a sovrapporre la rete internazionale tessuta in questo anno di governo da Meloni e la mappa del voto di ieri, qualcosa non torna. Albania e Tunisia, ad esempio, non avrebbero votato per l’Italia. Sempre a proposito di diplomazia, il giorno prima del voto Israele aveva annunciato che contro lo spirito degli accordi di Abramo avrebbe votato per l’Italia invece che per i sauditi. Ma è lecito chiedersi se l’endorsement del paese in guerra non abbia danneggiato Roma. Sul pallottoliere mancano anche i voti di alcuni dei rappresentanti europei, tanto che diversi si spingono a sostenere che il flop di Roma è un fallimento dell’Europa. «Roma è la città uscita meglio dall’ispezione – dice il sindaco – ma qui non votano gli ispettori del Bie, votano gli ambasciatori». Insomma, con quelle che Gualtieri definisce eufemisticamente «relazioni bilaterali» si intenderebbe l’opera di persuasione portata avanti dai lobbisti sauditi presso i singoli delegati. Più chiaro l’ambasciatore Giampiero Massolo, presidente del Comitato Roma Expo 2030: parla di «deriva mercantile» dell’assegnazione di Expo.