La repressione turca contro la resistenza kurda al confine con Kobane ha fatto una nuova vittima: giovedì la 28enne Kader Ortakaya, attivista kurda della Piattaforma Collettiva per la Libertà (movimento legato al Pkk) e studentessa all’Università di Marmara, è stata uccisa con un colpo alla testa sparato dall’esercito turco durante una manifestazione pacifica al confine con Kobane.

Decine di persone hanno tentato di attraversare la frontiera con la Siria, da oltre un mese sorvegliata dalle autorità turche che impediscono con la forza ogni scambio tra i profughi di Kobane e i combattenti delle Ypg dentro la città. Una politica che si è tradotta nelle ultime settimane in numerose vittime: almeno 12 combattenti feriti nella battaglia contro l’Isis sono morti al confine perché i soldati turchi non ne hanno permesso il trasferimento in ospedale.

Giovedì è toccato a Kader: «Non è la prima donna a cui hanno sparato al confine turco – racconta al manifesto Burcu Çiçek Sahinli, attivista kurda – I soldati turchi, che appoggiano i terroristi dell’Isis, non esitano ad aprire il fuoco contro dei civili. Poco tempo fa Saada Darwich è stata colpita al confine con Cirze mentre tentava di entrare in Turchia con il figlio».

«Ieri [giovedì, ndr] gli attivisti hanno formato una catena umana lungo il confine, insieme ad artisti e musicisti dell’Iniziativa per l’Arte Libera. I soldati li hanno attaccati con lacrimogeni, pallottole di gomma e pallottole vere. Un gruppo di giovani, tra cui Kader, volevano passare la frontiera per prendere parte alla lotta contro l’Isis e i militari hanno aperto il fuoco. Nei video girati si vede che non hanno esitato un secondo prima di sparare. Kader è stata colpita alla testa. Era molto nota, prendeva parte alle azioni di solidarietà da un mese».

Al fuoco turco, alcuni combattenti dell’Ypg dall’altra parte del confine hanno risposto sparando. La rabbia verso Ankara trova così nuova linfa: i kurdi accusano da tempo il governo di turco di sostenere l’Isis, permettendo il passaggio di islamisti a Kobane e impedendo allo stesso tempo l’invio di aiuti alla città sotto assedio. «Quanto avvenuto è parte della politica di femminicidio dello Stato turco contro le donne kurde – continua Burcu – Noi kurde siamo forti e siamo per questo target, anche più degli uomini. Tre settimane fa Semra Demir, membro del comitato esecutivo del partito Dbp, è stata colpita da un candelotto alla testa e ferita gravemente. Ma noi non ci arrendiamo: il nostro movimento è fatto di donne che vanno sulle montagne per fermare il nemico».

La reazione turca all’incidente è stata di completa negazione, come se la morte di Kader non fosse mai avvenuta, aggiunge Burcu: «Il governatorato di Suruc, lo Stato turco, ha negato l’incidente dicendo che non è successo. Eppure ci sono testimoni: il parlamentare dell’Hdp Ibrahim Ayhan stesso ha assistito personalmente. L’Hdp ha presentato oggi [ieri, ndr] un’interrogazione parlamentare per chiedere l’apertura di un’inchiesta».