Il servizio di intelligence che ha fatto indagini su Giulio Regeni e lo ha rapito, il 25 gennaio 2016, non è lo stesso che lo ha ucciso. È quanto dichiarato da un diplomatico europeo, in condizione di anonimato, all’agenzia indipendente Mada Masr. Anche per questo, aggiunge la fonte, l’Egitto non consegnerà i responsabili del rapimento, le torture e l’uccisione del giovane italiano alla Procura di Roma. Il 4 dicembre scorso Piazzale Clodio ha inserito nel registro degli indagati cinque vertici della Nsa, la National Security, per sequestro di persona e non per omicidio.

Il Cairo ha subito reagito dicendo che non avrebbe fatto altrettanto. La ragione è politica: consegnare quei soggetti significherebbe riconoscere la pratica di Stato delle sparizioni forzate e le torture sui detenuti e minare le basi dell’intero sistema di repressione interna, fatto sì di capillare controllo sociale da parte di enti diversi ma anche di omertà. Non ci si denuncia a vicenda.

Qualcosa però l’Egitto potrebbe fare, a seguito delle ultime pressioni politiche da parte delle istituzioni italiane: dopo il congelamento dei rapporti tra parlamenti voluto dal presidente della Camera Fico e la convocazione alla Farnesina dell’ambasciatore egiziano a Roma al-Badr, quest’ultimo potrebbe essere richiamato in Egitto. Durante quell’incontro, il 30 novembre, aveva riportato Mada Masr citando fonti interne egiziane, il ministro Moavero Milanesi aveva dato al Cairo sei mesi di tempo per avviare un processo.

La risposta, non certo accomodante, sarebbe il ritiro dell’ambasciatore entro gennaio, anche a seguito degli ultimi scambi tra i due paesi con l’Italia che una settimana fa avrebbe minacciato un’ulteriore escalation («entro qualche settimana, non mesi, tra Natale e Capodanno», secondo un’altra fonte interna) se il regime egiziano continuerà a ignorare le richieste di Roma. Da parte sua il ministero degli Esteri egiziano smentisce la notizia del ritiro, «completamente priva di fondamento».