La notizia è arrivata mercoledì sera per bocca del portavoce del parlamento di Tobruk (est della Libia) Abdullah Bilhaq: le elezioni della prossima Camera dei Rappresentanti (il parlamento libico) avverrà un mese dopo l’elezione del capo dello stato e non quindi insieme come fissava la road map del Foro di dialogo politico libico (Ldpf), l’Onu e la comunità internazionale.

Ma le brutte notizie per i rivali di Tripoli non sono finite qui: Bilhaq ha anche riferito dell’approvazione da parte del parlamento della bozza di legge «che completa il quadro legale per andare al voto». Dichiarazioni discutibili dato che il testo per eleggere il prossimo presidente è stato respinto dall’Alto Consiglio di Stato di Tripoli (una sorta di Senato) e dalla Commissione elettorale e non è stato sottoposto al voto della plenaria.

Secondo il nuovo testo, comunque, il numero dei parlamentari sarà pari a 200 che saranno eletti in 13 distretti tramite un sistema individuale, cioè senza partiti politici. Posizioni inconciliabili con quelle dell’Alto Consiglio che parla di «violazioni degli Accordi di Skhirat del 2015» e che, a differenza di Tobruk, propone la formazione di due Camere e non solo una.

Non trovare un accordo su una base istituzionale e rimandare uno dei due voti a gennaio non è questione di lana caprina: da mesi ormai tutti i protagonisti del dossier libico (locali e internazionali) sottolineano come uno slittamento del processo elettorale potrebbe portare ad altra instabilità nel Paese favorendo quelle forze contrarie a qualunque soluzione pacifica. Senza dimenticare che il rinvio delle parlamentarie a gennaio vuol dire mettere pressione all’Onu la cui missione in Libia (Unsmil) è stata di recente rinnovata solo fino al prossimo 31 gennaio.

E senza poi dimenticare che il Governo di unità nazionale (Gnu) guidato da Dabaiba era nato a marzo con un principale obiettivo: traghettare la Libia fino al 24 dicembre quando si sarebbero dovute tenere le elezioni presidenziali e legislative. La scissione delle due date è la presa d’atto del suo fallimento.

Le tensioni delle ultime ore sono lo specchio di un Paese lacerato dove le forze rivali dell’ovest (Tripolitania) e dell’est (Cirenaica) avranno pur smesso di spararsi dal cessate il fuoco dell’ottobre dello scorso anno, ma continuano a farsi guerra dal punto di vista politico. Sono entità che viaggiano su rette parallele fatte convergere a tratti solo a causa delle pressioni dei rispettivi sponsor stranieri e della comunità internazionale.

Qualche timido progresso si è registrato sul versante dei mercenari stranieri, altro tema centrale del dossier libico. Domenica la ministra degli Esteri Manghoush ha annunciato la partenza dei primi combattenti sottolineando però che si tratta di «un inizio molto semplice». E resterà tale se le potenze straniere che hanno davvero peso in Libia (Russia e Turchia) non troveranno definitivamente un’intesa a riguardo.