Si può, per superare lo stallo nel quale il parlamento è scivolato da quattro mesi, scrivere la nuova legge elettorale con un decreto? In assenza di passi in avanti concreti, si muove il dibattito. Ma la risposta naturalmente è no. I decreti legge in materia elettorale sono vietati proprio dalla legge (quella che dal 1998 regola l’attività di governo e presidenza del Consiglio). E soprattutto dalla Costituzione, da quell’articolo 72 – le leggi elettorali devono sempre essere approvate con «la procedura normale di esame e approvazione diretta» delle camere – già invocato contro l’Italicum, quando invece governo e presidenza della camera consentirono l’approvazione con la fiducia (non si può escludere che se ne debba prossimamente occupare la Corte costituzionale).

Il governo, dunque, non potrà risolvere al posto del parlamento il problema che giustamente preoccupa il presidente Mattarella, quello delle due leggi elettorali diverse per camera e senato conseguenza di due successive sentenze della Consulta: il Porcellum senza premio di maggioranza e l’Italicum senza ballottaggio. Le due leggi diverse sono la premessa certa a due maggioranza diverse tra camera e senato. Sono previste infatti soglie di sbarramento difformi, le coalizioni vietate alla camera sono incentivate al senato, il premio previsto a Montecitorio non c’è a palazzo Madama. Per rimediare, diminuendo il rischio di un parlamento ingovernabile, serve una legge, proprio quella che la commissione affari costituzionali della camera non riesce neanche a immaginare. Il governo, che del resto all’esordio si era presentato come semplice «facilitatore» dell’accordo tra i partiti, non può fare un decreto. Ieri ha chiuso il discorso anche il costituzionalista renziano Stefano Ceccanti. Ma non è vero che il governo non può fare nulla.

Avrebbe potuto, dovuto forse, fare gli «interventi normativi secondari, meramente tecnici e applicativi» sulla legge per il senato che la Corte costituzionale ha richiesto oltre tre anni fa. Il governo Renzi non li ha fatti, perché convinto che l’approvazione della riforma costituzionale e l’Italicum avrebbero superato il problema. Ma neanche Gentiloni, che ha ereditato le macerie di quel grande piano, ha mosso foglia. Gli «interventi normativi secondari», i regolamenti, sono anch’essi decreti, decreti del presidente della Repubblica deliberati dal Consiglio dei ministri. L’intervento minimo necessario dovrebbe regolamentare le modalità con le quali esprimere la preferenza per il senato. Farebbe risaltare ancor di più l’assurdità di quanto attualmente previsto per la camera: capilista bloccati pluricandidabili, con la selezione in caso di elezione in più collegi affidata al sorteggio.
Ma Gentiloni non si muove. Ieri, dopo quattro mesi a palazzo Chigi, ha sentito il bisogno di sottolineare la «continuità» con il governo Renzi. «È fondamentale l’attuazione delle decisioni» prese allora, ha detto. Ma anche delle decisioni di oggi, essendo l’immobilismo sulla legge elettorale, com’è ormai chiaro, una precisa strategia del rientrante segretario Pd.