«Non è pensabile che in democrazia sia un organo giurisidizionale e non un organo legislativo a scrivere la legge elettorale», Berlusconi rompe il silenzio e, intervistato dal direttore del Foglio, si schiera senza mezzi termini a favore di un passaggio parlamentare per armonizzare le due leggi elettorali partorite dalla Consulta. La disposizione d’animo dell’ex Cavaliere nei confronti di possibili elezioni in giugno si è senza dubbio ammorbidita dopo la sentenza della Corte che ha confermato i capilista bloccati, capitolo per Arcore fondamentale.

Le voci azzurre che premono per un accordo con Renzi sono innumerevoli e per una volta vanno dalle colombe dell’eterno Letta ai falchi come Augusto Minzolini, passando per l’area mediana di esponenti come Annamaria Bernini. Ma sull’idea renziana di correre alle urne con due leggi contraddittorie il leader di Fi punta i piedi, convinto, probabilmente a ragion veduta, di trovare un sponda potente sul Colle e senza farsi smuovere troppo dalla nuova indagine sulle Olgettine.

Mattarella tace, adopera come alibi diplomatico la necessità di leggere «le motivazioni della sentenza. Fa sapere in via informale che lui contro le elezioni in giugno non ha niente. Non intende imbarcarsi in una sfida con Matteo Renzi, e la frase della sentenza che dichiarava immediatamente applicabile la legge partorita dalla sentenza stessa non lo avrebbe colto di sorpresa. Ma di qui a rimangiarsi quanto solennemente e in più occasioni affermato ce ne passa.

Anche Beppe Grillo gioca la sua carta, scrivendo proprio a Mattarella. Una lettera abile, che reclama elezioni subito e invita il capo dello Stato a sciogliere le Camere subito per votare con quel che passa la Consulta. Però lascia aperta un’opzione alternativa: il presidente potrebbe anche «esortare tutte le forze politiche a seguire M5S nella strada da Lei indicata e applicare il Legalicum, la legge della Consulta, anche al Senato». E’ una mossa accorta. Grillo infatti sa perfettamente che proprio quella è l’opzione che persegue anche Fi.

Sulla carta armonizzare le due leggi non sarebbe né lungo né complesso. Quel che Renzi teme sono le trappole e gli agguati, i voti segreti, la navetta Camera-Senato. Il fattore tempo è determinante: non sarebbe difficile oltrepassare la data limite per votare entro l’11 giugno. Tanto più che i centristi insistono anche loro per rimettere la legge nelle mani del Parlamento, ma con l’obiettivo di imporre anche alla Camera la logica delle coalizioni, attualmente valida solo a palazzo Madama. Il contrario di quel che vogliono Grillo e Berlusconi, anche se non lo dice e anzi nell’intervista si finge quasi disinteressato.

Dunque Renzi quel passaggio parlamentare, una volta bruciata l’ipotesi Mattarellum che non ha mai avuto reali chances, lo teme più di qualsiasi altra cosa. Allo stesso tempo, però, è consapevole di non poter dare al pubblico votante l’impressione di mirare solo al voto subito. Lo ha detto a chiare lettere nella segreteria riunitasi dopo la sentenza: «Adelante con juicio. Non dobbiamo parlare solo della data delle elezioni come se fosse la sola cosa che ci interessa».

La partita è cominciata e per sapere come andrà a finire forse non basterebbe neppure la sfera di cristallo. Troppe le incognite, troppi gli attori e i comprimari in campo, perché mai come in questa occasione la posta in gioco non riguarda solo i partiti, diretti interessati, ma tutto il Paese. Capita così che ieri le voci più forti in campo siano arrivate tutte dall’esterno delle forze politiche: dai vescovi, dal presidente del Senato Grasso, da Romano Prodi. Hanno tutti spezzato le loro lance a favore di un passaggio parlamentare con l’obiettivo di armonizzare leggi che, così come sono uscite dal cilindro della Consulta, quasi garantiscono il caos.

Perentorio e feroce monsignor Galantino, segretario della Cei: «Ci sono due leggi elettorali frutto del lavoro della magistratura. Non è normale. Vuol dire che la politica non ha fatto il suo mestiere e su questo deve riflettere e interrogarsi». E’ un invito esplicito a non accontentarsi dei ritagli della Consulta. E’ anche uno schiaffone sonoro e non privo di perfidia appioppato a Renzi. Meno cattivo ma del tutto d’accordo il presidente del Senato: «Ci sono parecchie differenze tra le due leggi elettorali. Bisogna prenderne atto, sedersi intorno a un tavolo e trovare la soluzione». Romano Prodi preferisce lo stile obliquo. Segnala che se la Corte sostituisce il Parlamento «cambia profondamente il sistema democratico». Ma per capire cosa succederà nei prossimi mesi bisognerà aspettare che parli l’unico che sinora ha scelto il silenzio: Sergio Mattarella.