La camera ha deciso, di legge elettorale non si parlerà fino a settembre. Quando sarà ormai troppo tardi per tentare una riforma ordinata del sistema misto lasciato in eredità dal governo Renzi e dal suo fallimento nel referendum costituzionale: due leggi diverse per camera e senato. E la prospettiva di un futuro parlamento senza maggioranza.
L’aria era questa da settimane, ma quando ieri la Conferenza dei capigruppo di Montecitorio si è trovata a dover decidere formalmente sul calendario dei lavori dell’aula, è venuta fuori la richiesta del Pd e dei suoi instabili alleati centristi di rinviare la legge elettorale a dopo l’estate. Settembre, e magari anche settembre inoltrato: il giorno preciso sarà stabilito nell’ultima conferenza dei capigruppo di agosto. Prima della chiusura per ferie.
Ma il quadro è chiaro: perduta la mano di poker sulla legge finto tedesca giocata con Forza Italia e grillini al suo fianco, Matteo Renzi vuole tenersi stretto il sistema ereditato da due diverse sentenze della Corte costituzionale. Quella di fine 2013 contro il Porcellum, mutilato del premio di maggioranza e delle liste bloccate: il sistema residuo è in vigore per il senato. E la sentenza di inizio 2017 sull’Italicum, al quale è stato tolto invece il ballottaggio e la possibilità dei pluricandidati di decidere in quale collegio farsi eleggere, una volta incassata l’elezione da capolista: questo sistema è in vigore per la camera.

A forza di taglia e cuci è rimasto in piedi un proporzionale differenziato, che alla camera mantiene soglie di sbarramento non troppo alte (3%) e un premio di maggioranza all’apparenza irraggiungibile per le liste (sono escluse le coalizioni) fissato al 40% (l’omaggio di seggi arriva fino al15%). Per i pluricandidati plurieletti, il metodo di selezione del collegio rimasto in piedi è quello paradossale del sorteggio.
Per il senato, invece, le soglie di sbarramento ci sono e sono alte: 20% per le coalizioni (permesse e anzi incentivate), 8% per i partiti (a meno che non facciano parte di una coalizione che supera la soglia, in questo caso devono raggiungere il 3%). Non c’è premio di maggioranza. E c’è una preferenza, da raccogliere in una circoscrizione vastissima, grande come una regione.

Due le convenienze di Renzi nel votare con questi due diversi brandelli di leggi elettorali: il mantenimento dei capilista bloccati alla camera e delle soglie elevate al senato. Due almeno gli interventi indispensabili del legislatore, malgrado le sentenze della Consulta siano formalmente auto applicative: il regolamento per l’espressione della preferenza al senato e la garanzia delle pari chance per le candidate donna sempre al senato (obbligo costituzionale). Molti altri sarebbero gli interventi consigliabili, in direzione di quella «omogeneizzazione» delle due leggi richiesta a gran voce dal presidente della Repubblica Mattarella, di certo preoccupato di dover dare un’ordine al prossimo parlamento. Potenzialmente con due leggi e due corpi elettorali diversi (al senato non votano i 18-24enni) potrebbero esserci anche due maggioranze diverse nelle due camere.
Il rinvio e le prevedibili difficoltà di un parlamento che avrà di fronte a sé, in autunno, una complicata sessione di bilancio prima di avviarsi allo scioglimento naturale, lasciano pensare che alla fine sarà indispensabile un decreto elettorale. Decreto che però non potrà intervenire sulla sostanza dei problemi (soglie, premi di maggioranza) ma al più fare i due interventi indispensabili già segnalati.
Nei commenti di ieri, la Lega nord ha gridato allo scandalo per il rinvio a settembre, proseguendo sulla linea che va bene qualsiasi legge elettorale purché si voti subito. Forza Italia, unica a votare contro il rinvio a settembre insieme a Mdp-Articolo 1, ha fatto però notare che i deputati di Salvini non avevano fatto obiezioni durante la conferenza dei capigruppo. «Renzi punta al Consultellum ma la sua è una scelta irrispettosa del parlamento e di Mattarella» ha detto Alfredo D’Attorre di Mdp. red. pol.