Il rispetto dello stato di diritto è al centro di un braccio di ferro tra le istituzioni Ue e l’Ungheria (con l’appoggio della Polonia): Viktor Orbán sta prendendo in ostaggio l’adozione definitiva del bilancio Ue di oltre mille miliardi e del Recovery Fund di 750 miliardi, messo in atto per far fronte alla crisi economica causata dal Covid, perché Commissione, Consiglio e Parlamento europeo – con gradi di intensità differenti – intendono condizionare i versamenti degli aiuti al rispetto delle regole e dei valori dell’Unione. Una sentenza della Corte di Giustizia europea, martedì, ha confermato una volta di più che l’Ungheria di Orbán è ai limiti del rispetto degli impegni presi con l’entrata del paese nella Ue: per l’istanza giudiziaria, a cui si era rivolta la Commissione, la legge ungherese del 2017 che ha portato al trasferimento della Central European University (Ceu) da Budapest a Vienna, infrange il diritto europeo e la libertà accademica.

La Corte di Giustizia chiede quindi all’Ungheria di adattare la sua legislazione ai valori fondamentali della Ue. Per eliminare l’università fondata da George Soros nel 1991, Orbán nel 2017 ha fatto approvare una legislazione che obbliga tutte le università straniere attive in Ungheria ad avere una “reale attività” nei rispettivi paesi d’origine. Inoltre, l’Ungheria obbliga ad avere un accordo bilaterale con questi paesi. Solo la Ceu fondata da Soros, la bestia nera di tutta l’estrema destra europea, non ha potuto presentare queste credenziali, al punto che la legge del 2017 è stata soprannominata “legge anti-Ceu”.

La Central European University dava a Budapest dei diplomi di diritto statunitense. Ha dovuto trasferire questa attività a Vienna, mentre ha conservato nella capitale ungherese un’attività di ricerca e la sezione che eroga diplomi di diritto ungherese. Difficilmente, la situazione tornerà come prima della legge del 2017. «Questa decisione arriva troppo tardi», ha commentato George Soros, «non possiamo tornare in Ungheria». Il governo di Orbán ha reagito con la solita tattica: la ministra della Giustizia, Judit Varga, ha assicurato in piena malafede, che «come sempre, l’Ungheria metterà in opera la sentenza della Corte di Giustizia, conformemente agli interessi degli ungheresi». Ma ha aggiunto che per il governo, la Ceu è solo «un’università cassetta delle lettere», cioè solo un paravento.

La Commissione è intervenuta nel 2018, portando la questione di fronte alla Corte di Giustizia Ue. Per difendere la “libertà accademica”, diritto garantito dalla Carta dei diritti fondamentali della Ue, la Corte di Giustizia ha dovuto fare riferimento alle regole di libero scambio della Wto.

È la terza volta in pochi mesi che delle leggi ungheresi sono giudicate contrarie al diritto europeo. A maggio, la Corte di Giustizia aveva condannato la politica migratoria di Orbán, che arresta e rinchiude sistematicamente in campi i migranti sorpresi sul territorio ungherese. A giugno, è stata la volta della legge contro i supposti finanziamenti dall’estero delle ong che operano in Ungheria. Ma finora, Budapest non ha modificato questa legislazione, come richiesto dalla Corte di Giustizia, per mettersi in conformità con i valori europei.