Che ore sono? La più semplice delle domande non ha una risposta così scontata in Libano. Il cambio dall’ora solare a quella legale, previsto per la notte tra sabato e domenica, non ha messo tutti d’accordo e ha creato una realtà distopica, al limite dell’immaginazione.

Tra il paradossale, l’assurdo e il drammatico è stato difficile anche darsi un semplice appuntamento o trovarsi a cena. Il governo con a capo Mikati (sunnita), con l’appoggio del presidente del parlamento Berri (sciita), ha annunciato giovedì scorso con insufficiente preavviso che avrebbe atteso la fine del Ramadan ad aprile per passare dall’ora solare a quella legale.

Nel mese di Ramadan del calendario musulmano i credenti digiunano dall’alba al tramonto e quindi la decisione avrebbe dovuto favorire i musulmani osservanti. La cosa, che potrebbe avere anche una sua logica, eventualmente organizzata in anticipo – non fosse però che anche l’alba viene ritardata di un’ora – non è stata presa bene dalle istituzioni e dalla comunità cristiane, che hanno spostato le lancette dei propri orologi un’ora avanti.

IL CAOS. Le moltissime scuole cristiane hanno mandato messaggi sabato in tarda serata. La circolare dell’Università Antonina che titola «Passaggio all’ora legale: è questo fine settimana!» dice: «In accordo con la dichiarazione dell’Ufficio comunicazione del Patriarca a Bkerki, l’Ua vi chiede di spostare i vostri orologi un’ora avanti alla mezzanotte tra il 25 e il 26 marzo». Il ministro dell’istruzione Halabi, dopo varie giravolte, domenica se ne era lavato le mani, lasciando alle scuole la decisione.

La Mea, disastrata compagnia aerea di bandiera, ha comunicato che si sarebbe adeguata all’ora legale, anche se il traffico aereo è stato messo duramente alla prova. La Iana (Internet Assigned Numbers Authority) ha ricevuto la notifica solo ventiquattro ore prima del non-cambio: non c’è stato abbastanza tempo per settare i sistemi informatici, con tutto ciò che comporta per banche dati, sistemi bancari e uso domestico dei terminali.

Sui social sono piovute le reazioni: «Da oggi si dovrà chiedere: che fuso orario hai?», «Mikati ha risolto il problema dei viaggi nel tempo». Una seduta speciale del consiglio dei ministri è stata convocata ieri e pare che nella notte tra domani e giovedì si passerà all’ora legale, una delle pochissime parole a poter ormai godere di questo aggettivo in Libano.

L’amara chiosa di questa storia a tratti esilarante, ma in sostanza drammatica, è che la questione è diventata un problema di identità confessionale, di appartenenza a mondi diversi, esacerbando la frattura storica tra i cristiani e i musulmani. L’urgenza con la quale le istituzioni politico-religiose cristiane hanno preso posizione è sintomatica di un’insofferenza mai sopita, di un nervo scoperto.

IL LIBANO si trova nella più profonda crisi della sua storia dal 2019, con un’inflazione oltre il 90%, conti bancari prosciugati e bloccati, carenza di energia, aumento vertiginoso della povertà assoluta e relativa così come delle emigrazioni, in emergenza sanitaria, educativa e sociale.

Il paese non ha ancora formato un governo dalle elezioni del 15 maggio scorso e tira avanti con quello ad interim. Dopo la fine del mandato del presidente della repubblica Aoun a fine ottobre, non si è ancora chiuso il cerchio su un nome che accontenti tutte le fazioni. La conseguenza è che i soldi stanziati per il Libano dal Fondo monetario internazionale a patto di riforme sono bloccati e i libanesi arrancano.

Ed è proprio il caso di dire che si è persa la cognizione del tempo che avanza.